Stavo meditando se comprarlo o meno, credo sia un libro per cui ci va davvero il pelo sullo stomaco...qualcuna l'ha letto?
Ecco la presentazione:
Con tutto ciò, stupisce, commuove in " Càpita" la lucidità tagliente. Una assoluta, impavida assenza di pietoso auto compatimento fa entrare nelle pagine una sorta di rabbia, di non perdono al corpo che l'ha tradita. Mortificazione avvilente, subita e contrastata fino alla morte, il 17 luglio 2005.
Esistenza rotta, stravolta d'improvviso, da attiva e felice, da straordinaria e piena che era. Eppure nessun segno di rassegnazione. Ironia ribelle se mai, personalmente nemica a vedersi, a pensarsi così, vecchia ottantenne in fondo a un letto. È arrivato, comunque, comanda lui, l'ictus. Persino un bel nome, robusto, scientifico, " Stroke"; e " Stroke Unit", il reparto specializzato dove lo curano. Ma è sempre un colpo subdolo, senza preavviso, una perfida, secca frustata. Basta « il tocco in testa che ha fatto cedere le gambe e bloccato un braccio; una serie di violenze, di letti, di esami, disperata, sei immobile, in balia di tutti, ma vedi, capisci, ti atterrisci, ti vergogni. E poi tenti di risalire minuto per minuto il burrone in cui sei precipitata » .
Volontà di lotta, nonostante le forze dimezzate. Caparbia intenzione di tenere ancora lontana la morte. Perché « io credo che si muore quando si desidera morire, non prima», scriveva Gina Lagorio in " Approssimato per difetto" ( 1971). Nel romanzo d'esordio, un uomo, il marito Emilio Lagorio, uscito da un difficile intervento chirurgico al cervello, si accosta con diversa, limpida consapevolezza all'amore e alla vita. Ora, con " Càpita", l'autrice de " Il silenzio" narra di sé alle soglie della morte. Osserva impietosamente, analizza la propria carne e l'anima, nello scarto, nel taglio profondo che l'ictus ha prodotto dal passato al presente. E dal presente, tragicamente nuovo, a un futuro immaginabile solo come pauroso. Ictus, in latino " ictus- us", colpo feroce. Patologia localizzata nel cervello. Controlli preliminari. Mettere a posto le lettere in un cartello.
La paziente non ne imbrocca una. La " h" le sembra una lettera mefitica. Subito dopo, per urinare, deve mostrarsi nuda ad uno sconosciuto. E lo avverte, gli annuncia a voce alta, ridendo: « Passera d'epoca » . Ironica esibizione a parte, quando tenta di registrare la cronaca della giornata, le sillabe le ballano davanti, sovrapposte sulla pagina. La scrittrice Lagorio non riesce a mettere le parole in riga. Sgorbi illeggibili. Il cervello sottratto alla scrittura: « Sono io a essere scritta dalle cose e dagli altri. Io non scrivo più » .
Reali, sconfortanti interrogativi. Che cos'è la padella? Un oggetto, uno strumento? Un incubo, un salvagente? In ogni caso, impossibile trascurare la padella e il suo uso. Per cui, in ospedale, avrà pur sempre Dante sul comodino ( nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria), ma prima di tutto, indispensabile, la padella. Per giorni interi, passaggio da una terapia all'altra. Pillola. Puntura. Flebo. Arte manuale o fisioarte. In corsia intervalli " sonnecchiati" e sprofondarsi nell'incoscienza. Ma anche frammenti della canzone dantesca " Tre donne intorno al cor mi son venute" aiutano a vivere, nella persona di altrettante infermiere belle, franche e premurose. Loredana le torce, sommessamente decisa, polsi e avambraccio feriti. Musicale anche senza strumenti, Valentina tira, solleva, palpeggia i muscoli freddi finché non si sciolgono. Roberta impasta le dita, ascolta l'arto " desolato", e gli risponde, improvvisando nuove, giuste posizioni.
Camminare nel sole, respirare tra amici, vedere le siepi fiorite a primavera, godere le grazie irresistibili delle nipotine: ecco la vita, ecco ciò che è vita. E il resto inutile, avanzo passivo, niente. Pensieri simili accompagnano la giornata della paraplegica Lagorio. Specie quando la giornata si apre. Al risveglio: « mentre il braccio è di legno, le gambe di cemento, il cuore opaco, è lo scoramento, la desolazione » . Le danno Pasqua come ipotesi per tornare a casa. Ma nella settimana pasquale, giunta a casa, la malattia " vigliacca" non rallenta. Cresce anzi, mostruosamente. Alla paralisi delle gambe, si aggiunge una « trombovenosa profonda » .
Nuove visite, consulto, analisi giornaliere e iniezioni perché il sangue fluisca e non coaguli. Appena qualche spiraglio nella vergogna domestica. Mani amorose la sollevano, la spogliano della camicia, la rivestono " da giorno". Disperata pazienza. Finché non arriva la nipote più piccola, Delfina. La bimbetta vuole cantare alla nonna la scala musicale da poco imparata. Do, re, mi, fa, sol, la, « ti » , do! E quel « si » che diventa « ti » , a nonna Gina sembra una scossa elettrica nel buio, generosa e benevola. La vecchia signora sorride. Canta e ricanta le note insieme alla bimba. Torna la pace per un attimo. Riprende la gioia semplice, elementare dell'innocenza. Dopo tante pagine, dolenti e vere fino allo spasimo, vien fatto di fermarsi, di rileggere. Noi sostiamo sulla pagina del sonno e della morte. Capita che il male sommerga l'autrice in una pioggia di sonno.
Non voglia di dormire. Ma sonno allo stato puro. Essere nel sonno e volontà di restarci. Questo soddisfatto bisogno, questa inconsueta felicità significa forse la morte? E averlo capito, è forse un dono della morte? Sia come sia, ancora e sempre vale il Cantico delle Creature: « Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale / Da la quale nullo omo vivente po' scampare » . E San Francesco, siglato cristianamente alla fine”.
Fin qui le parole di Bertacchini. Cosa aggiungere? Nulla e tutto, se non il pensiero di tanti volti di vite simili che anche io ricordo di avere visto ed incontrato tanti anni fa in un ospedale a nord di Londra quando, da giovane studente, volevo conoscere le funzioni del cervello e della mente degli uomini, studiare l’inglese e guadagnarmi da vivere in paese straniero. Ictus, dementia senile, RH negativo, mongolismo, tutte le possibili categorie devianti del cervello disastrato da un corto circuito natale o prenatale, irreversibile che ti condanna e ti riduce ad una sotto specie di vegetale umano. Ti confronti davvero con la tua vera essenza e pensi che stai vivendo in un’altra dimensione, mentre fuori il mondo gira nella sua, ma in diversa, opposta e contrastante direzione. E ti chiedi cosa sei, dove vai, perché è accaduto. Se hai senso e sensi a sufficienza per domandarlo agli altri o te stesso. Ma poi scopri che è meglio che il corto circuito sia totale in maniera da interrompere ogni contatto con la realtà del proprio io e quello degli altri. Un sogno, un incubo, un mistero che Gina ha vissuto in pieno da dentro, guardando fuori. Guardando noi e pensando forse a se stessa come era, prima…
(L) Gina Lagorio - CÃ pita
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[SIZE="2"][color="SeaGreen"]nella quotidianità pure George Clooney ad un certo punto si trasforma in Homer Simpson[/color][/size] (Gabry)
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