biaffy72 wrote:però io credo che comunque si produrranno più danni così,perchè ad esempio una persona razzista pur di adottare magari accetterà questa cosa,però poi che succederà se in quella famiglia arriverà un bimbo di colore quando i futuri genitori avrebbero accettato di buon grado tutto ma non un bimbo di colore ?
capisco bene il discorso, perché è quello che io stessa lo facevo qualche anno fa.
Ma gli approfondimenti di questi ultimi anni mi hanno portato a cambiare idea, in questo modo:
quando si parla di adozione si parla di accoglienza totale e globale del bambino.
Il colore non che è UNA di tutta una serie di caratteristiche di questo bambino,
e sicuramente non la più difficile e problematica (è in genere molto più complesso "gestire" il trauma dell'abbandono, le esperienze precedenti, eventuali problemi dovuti a queste esperienze, la presenza/assenza dei genitori biologici, ecc..)
E mi sembra difficile che se si è categorici su quest'una caratteristica (il colore),,
ci possa essere una vera accoglienza totale del bambino per tutti gli altri aspetti, che possono presentare difficoltà ben maggiori (a seconda della storia dello specifico bambino, naturalmente).
Non so se sono riuscita a farmi capire, quello che penso è forse espresso meglio in questo comunicato pubblicato sul sito del CIAI (uno dei principali enti che si occupano di adozione internazionale in Italia):
“Ci complimentiamo con i “colleghi” di Ai.Bi – l’ente autorizzato che ha presentato alla Suprema Corte un esposto a questo proposito - per il risultato ottenuto.
Per l’esperienza da noi maturata, possiamo confermare quanto sia importante che una coppia che si avvicini all’adozione internazionale sia aperta e pronta a confrontarsi con la diversità. Perché sono tante le “diversità” che un bambino adottato si trova di fronte nella propria vita e non sempre il colore della pelle è quella più eclatante.
E’ certamente legittimo che una coppia esprima perplessità circa la propria disponibilità ad accogliere bambini “diversi” ma andrebbe stimolata a riflettere sulle proprie reali capacità di affrontare il complesso percorso dell’adozione internazionale, non certo “facilitata”.”
E io sono d'accordo: la soluzione non può essere un decreto vincolato***
ma solo la proposta a questi possibili genitori di un percorso di approfondimento,
perché la "paura di adottare un bimbo nero" può essere davvero solo il timore di non saper accompagnare il bimbo correttamente in una società tendente al razzista (problema superabile con gli strumenti corretti, per altro comune a molte coppie all'inizio del percorso),
ma può essere anche vero razzismo o rigidità (che per me implica l'impossibilità di adottare tout court, perché la non accettazione del diverso non può avere sfumature di colore, non mi pare possibile che "i futuri genitori avrebbero accettato di buon grado tutto ma non un bimbo di colore " perché quell'altro figlio, magari biondo e con gli occhi azzurri, sarebbe stato comunque diverso da loro)
***anche perché poi, dove lo mettiamo il limite?
si può specificare il colore della pelle? il taglio degli occhi? la tipologia di capello?
cosa significa "bambino di colore"?
"nero nigeria" o "nero maghreb"? e i bimbi indiani e cambogiani, peruviani e brasiliani sono "di colore" o solo di uno "scuro accettabile"?
Si entra in un loop che semplicemente non regge...
Poi non sto assolutamente dicendo che sia "cosa da nulla" essere somaticamente diverso in Italia.
È una fatica, indubbiamente.
A tratti è difficile, a tratti è pesante, a tratti è esasperante, a tratti ti fa venire voglia di mandare tutti affanculo e di andartene, come ha fatto
Matteo Koffi Fraschini, milanese di origine africana che una volta raggiunta un'età sufficiente ha deciso di trasferirsi a lavorare in Africa (la mia è una famiglia "somaticamente mista", quindi questa difficoltà la vivo, se non in prima in "seconda persona" anch'io, lungi da me sminuire il problema).