Open, la mia storia (andre agassi)

Gli svaghi delle Noimamme

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Maura
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Open, la mia storia (andre agassi)

Post by Maura »

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SINOSSI:
ostretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo: l'odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l'autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli ossigenati, l'orecchino e una tenuta più da musicista punk che da tennista, Agassi ha sconvolto l'austero mondo del tennis, raggiungendo una serie di successi mai vista prima.

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Vi lascio una parte della magnifica recensione che ne fa Baricco nel suo "Una certa idea di mondo", libro in cui recensisce i 50 libri che secondo lui meritano di essere letti.

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Di Alessandro Baricco:

(Comprato perché me l’hanno consigliato due amici, tutt’e due più giovani di me, tutt’e due sceneggiatori.
Sempre fidarsi degli sceneggiatori, quando leggono)

Beh, non l’ha scritto lui, d’accordo. L’ha scritto J. R. Moehringer, uno che nel 2000 ha vinto il Pulitzer per il giornalismo: e che, obbiettivamente, è di una bravura mostruosa. Non bisogna pensare però che si sia limitato a fare da ghostwriter: gli è riuscito di dare ad Agassi una voce (una vita l’aveva già, e micidiale) e una diabolica abilità nel raccontare. Risultato: di Moehringer ti scordi subito e ti ritrovi in viaggio con un Agassi che non ti saresti mai aspettato e che non smette un attimo di parlare. Se parti, non scendi più fino all’ultima pagina. Roba che i famigliari protestano e sul lavoro non combini più un granché.

In genere, quando un libro riesce a ottenere un simile risultato contiene una di queste quattro domande: chi è l’assassino? Il protagonista troverà se stesso? Ma alla fine si sposeranno? Chi dei due vincerà? Open ne contiene tre su quattro, e le intreccia molto bene: le possibilità di sottrarsi alla trappola sono pari a zero. (Manca l’omicidio, ma se si largheggia un po’, l’idea di far allenare il proprio figlio di sette anni tirandogli 2.500 palline al giorno assomiglia molto a una specie di avvelenamento metodico, e quella era l’idea di educazione che aveva in testa il padre di Agassi).
Adesso che sono stato ad ascoltarlo, so che Agassi ha vissuto come giocava a tennis, cioè i piedi ben dentro al campo, ad aggredire la pallina mentre sale (tutti buoni a prenderla mentre scende), immaginando tutto a una velocità irragionevole, e collezionando sciocchezze mostruose e invenzioni sublimi. Intanto che faceva tutto questo, cercava un senso alla sua vita, e se si ritorna con la mente a quel pagliaccio in hot pants di jeans e capelli tinti sparati sulla testa che giocava come un flipper, la cosa risulta poco credibile: ma non se apri il libro e gli dai una chance. Alla fine bisogna arrendersi, sembrava deficiente ma non lo era. O almeno: era intelligente in un modo molto barbaro, e quindi affascinante.

Non sarebbe poi stato molto differente, il giovane Werther, se solo nasceva nel 1970 a Las Vegas. Tutto molto superficiale, ma quando ad esempio ti fa capire le porzioni di vita che possono viaggiare in una pallina da tennis che schizza su del cemento, in assenza di qualsiasi profondità, e nell’ossessiva ricerca di poche linee dipinte di bianco, un’idea te la fai, molto fisica, di come l’infinito possa correre sulla pelle del mondo senza prendersi la briga di scendere in qualche altro posto, nel sottosuolo. Serve giusto una mente altrettanto veloce e leggera, e poi tutto ritorna a posto.

Agassi aveva (ha) una mente di quel tipo, e ce l’avevano (magari in modo un po’ più rudimentale) quelli intorno a lui. (Gente capace di dire frasi come questa: «Andre, certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un termostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi». Brutale, semplicistico, ma anche vero, in un certo modo, e molto utile se te lo dicono quando stai per uscire per la prima volta con la donna dei tuoi sogni). Pallina dopo pallina, volano le domande e le risposte sulla vita, schizzando sul cemento dei pensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante partita giocata da un ragazzo contro il buco nero che si porta dentro: che poi è la stessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no. Ne ho letto infiniti resoconti, e quello di Agassi ha una sua elementare bellezza sintetica che vale più di mille centrini letterari (romanzi all’uncinetto, non so se mi spiego). Sul finire della carriera, quando ormai vinceva e perdeva da secoli, quando aveva già ricominciato da capo un paio di volte, quando stava in campo solo grazie alle iniezioni di cortisone, i giornalisti iniziarono a chiedergli come mai non smetteva. Era una domanda giusta, giustamente porta a uno che non aveva mai smesso di pensare “Io odio il tennis”. Ecco la risposta di Agassi: «È così che mi guadagno da vivere. E poi mi resta ancora del gioco. Non so quanto, ma un po’ ce n’è». Ho in mente decine di domande a cui vorrei esser capace di rispondere con una così barbara esattezza. (Se ad esempio mi chiedete perché non smetto di scrivere, vi beccate una conferenza di almeno mezz’ora).

Tutto sommato, l’unica cosa del libro che mi è spiaciuta è il finale. L’eroe si sposa, vince e scopre se stesso. Lieto fine, ma non è questo che mi è spiaciuto. È che l’eroe scopre il senso della vita iniziando ad occuparsi degli altri, i suoi figli innanzitutto, ma anche gli altri veri: apre una scuola per bambini che non hanno la possibilità di studiare. Volontariato. Tutti felici. Sipario. È che io non ci credo. A me risulta che la ricerca del senso è una sorta di partita a scacchi, molto dura e solitaria, e che non la si vince alzandosi dalla scacchiera e andando di là a preparare il pranzo per tutti. È ovvio che occuparsi degli altri fa bene, ed è un gesto così dannatamente giusto, e anche inevitabile, necessario: ma non mi è mai venuto da pensare che potesse c’entrare davvero con il senso della vita. Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi, tutto il resto è una forma di lusso dell’animo, o di miseria, dipende dai casi.

Peraltro, è anche possibile che mi sbagli. È giusto un pensiero istintivo — un certo modo di vedere il mondo.

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Lo so che è una lunga recensione, ma merita e descrive appieno qsto libro spettacolare.
M
Enrico 09.03.09
Veronica 22.03.2011

"Ho il corpo di una diciottenne.
Lo tengo in frigo".
(Spike Milligan)

"È ovvio che occuparsi degli altri fa bene, ed è un gesto cosi dannatamente giusto, e anche inevitabile, necessario: ma non mi è mai venuto da pensare che potesse c'entrare davvero con il senso della vita. Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi, tutto il resto è una forma di lusso del l'animo, o di miseria, dipende dai casi"
(A.Baricco)
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Nat
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Re: Open, la mia storia (andre agassi)

Post by Nat »

E' tantissimo tempo che l'ho messo nel reader
ma nulla, non riesco a leggerlo
in tanti mi hanno detto che è molto bello
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caterina
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Re: Open, la mia storia (andre agassi)

Post by caterina »

Era recensito anche di là.
Comunque hai fatto bene a rimetterlo perchè è comunque un bel libro da leggere.
Per gli altri, dico. Non per me.
Non sono appassionata di sport, tantomeno di tennis. Non ho conosciuto e vissuto l'epoca Agassi e ho trovato il libro davvero sfiancante, tanto che l'ho lasciato, sfinita, a 100 pagine dalla fine.
Mi ha dato il mal di mare, pieno di boria, di nevrosi, di irrisolti, di solitudine com'è.
No, non mi è piaciuto.
Sono CONTENTA di averlo letto, lo avrei comunque fatto per cultura personale ma no... non me lo ha reso simpatico, non mi ha dato empatia, niente.
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[b]"Non ci sono estranei, qui. Solo amici che non abbiamo ancora incontrato" (Yeats)

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