I miei ragazzi hahho compiuto da poco 2 anni, quindi il racconto è "vecchio", scritto nei mesi successivi alla loro nascita.
Ma non ho cambiato una virgola, per far passare le emozioni di allora.
Tutto è iniziato giovedì 25 maggio, quando il primario di ginecologia dell’ospedale di Alessandria, dandomi appuntamento al giovedì successivo, mi ha detto: “E si porti il valigino”
Cazzo, ma il valigino … cioè, forse nascono giovedì, forse venerdì, forse sì, forse no …
Dodo ed io non l’abbiamo detto a nessuno, o quasi, perché sapevamo ma avevamo quasi paura ad ammetterlo, che era giunto il momento dell’approdo per la nostra inconsapevole barchetta. La tempesta stava per raggiungere l’apice della sua furia, il massimo della selvaggia bellezza che la natura possa offrirci, per regalarci infine i nostri piccoli naufraghi.
Mercoledì sera abbiamo lasciato Cecilia da mia mamma, l’ho stretta forte perché dentro di me sapevo che anche per lei dal giorno dopo sarebbe cambiata la vita e il tenue senso di colpa che ha accompagnato tutta la mia seconda gravidanza si è trasformato in un fiume di lacrime e singhiozzi strozzati in gola.
A casa, da soli, Dodo ed io a girare per casa come due leoni in gabbia, a guardarci e sorridere come due ebeti, a dirci e non dirci … “Speriamo che sia davvero domani, sono stufo di aspettare e di vedere che sei nervosa perché aspetti” e poi mi ha stretto forte forte, l’ultima volta con la pancia!
Una doccia e poi a dormire. Pensavo di non chiudere occhio e invece ho fatto una nanna bellissima, profonda.
Giovedì 1° giugno. Sulla via per l’ospedale ricevo 2 sms, uno di Paola in strada verso il raduno e uno della mia tata. Rispondo e spengo.
In ospedale aspettiamo una mezz’ora, poi arriva il primario e mi chiama, Dodo resta fuori col valigino.
Mi visita. “Signora, ha 3 cm di dilatazione, li facciamo nascere”
Porca vacca, penso! “Ma … come??”
“Adesso facciamo un eco per controllare che non si siano girati. Se sono ancora cefalici, induciamo il parto naturale. E poi vediamo!”
Esco, guardo Dodo (super agitato) negli occhi e gli dico: “Oggi nascono!”. Gli vengono le lacrime agli occhi e mi prende la mano.
Col dott di turno (un vecchio signore con i capelli alla Heinstein, gli occhialini sulla punta del naso e l’espressione un po’ vacua – spero tanto che non si occupi lui di me, penso) sbrighiamo le formalità, controlliamo gli esami … tutte le menate burocratiche.
Mi sistemano in una stanza (cacchio, in ginecologia e non in ostetricia!) e poi andiamo a fare l’eco.
Un po’ di attesa, seduti mano nella mano a sorriderci e a dirci un sacco di cazzate. Dodo mi racconta gli skecht di Linus e Nicola alla radio, parliamo dei mondiali, della partita del Toro (per la promozione in A) che ci sarà quella sera alle 7 e che lui non potrà vedere. “I tuoi bimbi sono già juventini come mamma e zii – lo sfotto – perché non ti fanno vedere il Toro!”. Inizio a rilassarmi un po’. Chiamo mia mamma. “Mamma, oggi nascono!” e non riesco a dire altro perché mi prende un groppo in gola. Lei tace, emozionata più di me. “Hai capito? Ci sei? Non venire, occupati di Cecilia e poi ci sentiamo!”. “Sì, ho capito. Ceci è all’asilo.” Non riesce a dire altro, metto giù. Rispengo il cellulare. Non posso permettermi di pensare a Cecilia in questo momento, ho bisogno di tutte le mie energie fisiche e psicologiche per Andrea e Gabriele. Caccio il pensiero del suo visino un po’ strafottente nell’angolo più nascosto del mio cuore e della mia mente. Ti tirerò fuori tra qualche ora, amore mio, ora mamma non può permettersi di piangere!
Finalmente ci chiamano per fare l’eco.
Il dott lo conosco, è quello che c’era alla nascita di Cecilia.
Inizia l’eco, ma lo schermo è girato e io non riesco a vedere nulla. Dodo sì. Cerco di capire dalle sue espressioni se va tutto bene o no, ma, stranamente, ha un’espressione imperscrutabile … (dopo mi ha raccontato che i parametri dell’eco davano entrambi i bimbi sotto i 2 kg!). Chiedo al dott, “Tutto bene, mi dice, andiamo in sala parto e facciamo l’induzione. Sono un po’ ingarbugliati i suoi figli, sono uno sull’altro invece che uno di fianco all’altro, ma lei è stretta di bacino.” Va beh, andiamo a districare i bambini, penso io!
Entro solo io in quella che è la sala d’attesa delle sale parto, Dodo resta fuori per ora.
Finalmente trovo Patti, l’ostetrica che mi aveva visitato tempo prima, mi stringe la mano e mi dice: “Tranquilla, mi occupo io di te!”
“Ma io voglio sapere esattamente cosa mi fate … prima che me lo facciate, possibilmente”
Arriva un altro dott (ma quanti sono stamattina!), uno degli anziani, una palla da bowling al posto della testa e due occhi di ghiaccio, mi spiega tutto per bene: “Prima romperemo il sacco, poi faremo una flebo contenente ossitocina per provocarle le contrazioni e da lì vedremo come andranno le cose. Sarà monitorata, saranno monitorati i bambini. Stia tranquilla.”
Oddio, proprio tranquilla direi di no! Sembro io un padre in attesa. Mi dicono di sedermi, ma passeggio nervosa avanti e indietro per il breve corridoio tra le sale parto mentre preparano quella per me.
E’ tutto come due anni prima, mi sembra, però quella volta non ho neanche avuto il tempo di vedere il colore delle pareti ed ora sono qui che conto le venature grigie del pavimento. Io non sono una persona paziente, mi sto sforzando di esserlo, sorrido a tutti quelli che passano, rispondo alle gentili domande di infermiere, ostetriche e dottori, ma vorrei solo urlare “Cazzo fate? Vi sbrigate, porca vacca? E fate entrare Dodo che deve stare qui con me!!!!”
Finalmente mi chiamano. La sala pronta per me è l’ultima in fondo, è la più grande. C’è Patti e “occhi di ghiaccio”. Mi sistemano sul lettino con le staffe, tirano fuori un “coso” e il dott mi rompe il sacco, mentre un’infermiera sta cercando di trasformare il mio braccio in una gruviera nel tentativo di prendere una vena e farmi la flebo. Al terzo tentativo fallito, lei rossa come un peperone viene sgridata dal dott e io la guardo male … mi spiace, non ho compassione, ma ho i nervi un po’ tesi e farmi bucherellare il braccio non mi rilassa. Finalmente ce la fa EUREKA!
Mi spostano su un lettino normale, mettono i cuccioli sotto monitoraggio (mi stupisce anche questa volta quanto corra veloce il loro piccolo cuoricino) e fanno entrare Dodo! Sono le 11. Gli racconto cosa mi hanno fatto, lo mando a prendermi da bere. H 11,25, la prima contrazione, leggera. Ogni 2 minuti arriva un dott diverso a controllare il tracciato, a chiedermi come sto. H 12,05 arriva la prima contrazione vera! Patti mi visita: “Sei a 4 cm, ma tu mi freghi – mi dice sorridendo – appena hai voglia di spingere dimmelo!”
Intanto stritolo la mano di Dodo che si è ammutolito, mi guarda e mi bacia.
Perdo di vista l’ora, le contrazioni si susseguono, forti e ravvicinate.
Arriva l’anestesista e mi chiede se voglio fare l’epidurale, visto che sono di 4 cm.
Dico “Ok, facciamola!” Nel frattempo Patti mi visita: “Sei già di 6 cm”. Occhi di ghiaccio mi sconsiglia di farla perché le cose stanno andando velocemente e rischio che mi faccia effetto in fase di spinta rallentando le cose. Tempo di dire ciò, un paio di contrazioni e inizio ad avvertire una gran voglia di spingere. “Sei già di 10 … lo sapevo che mi fregavi” dice Patti ridendo.
Di corsa mi spostano sul lettino con le staffe, arrivano in tutto 6 – 8 persone tra ostetriche, ginecologi e neonatologi.
“Ora puoi spingere”, mi sento dire.
Finalmente, porca miseria, non ce la facevo più. Voglio liberarmi dal dolore, dalle fitte alla schiena, voglio liberarmi da questo bagaglio che ora sento ingombrante come non mai. Voglio che nascano, voglio vederli, stringerli. Non più la malinconia della fine, ma la bramosia dell’inizio accompagna ogni mia spinta, ogni mio urlo, ogni mia sacrosanta parolaccia! Dura poco, ma in realtà dura lo spazio di un miracolo che si compie. Io urlo, Dodo è lì che mi dice che sono brava, che mi ama. Esce, finalmente esce. Sento Patti che dice: “Sono le tredici”
Di nuovo quell’interminabile manciata di secondi in cui lui non piange (come Cecilia), sono coricata ad occhi chiusi, so che Dodo è lì ma sta guardando suo figlio e non più me. Poi un minuscolo vagito. “Com’è, tutto bene?” chiedo e apro gli occhi. “Me lo fate vedere?” Dodo ha le lacrime agli occhi e io lo vedo, tra le mani di non so chi, perché tutto il contorno in quel momento è sfumato di grigio. C’è solo Andrea, piccolo e nero, orrendo, con la bocca spalancata e gli occhi leggermente gonfi, serrati. Non me lo appoggiano sulla pancia, lo portano via di corsa. “Dodo vai con lui!” gli dico.
Mi rilasso un secondo, mi guardo la pancia che c’è e non c’è, ho partorito ma non ho ancora partorito. Sono stanca, un brivido mi sale su per la schiena al pensiero di ricominciare tutto da capo. Non ce la posso fare, mi dico, fa troppo male!
Ritorna Dodo e mi dice un “tutto bene” carico di mille parole ed aspettative.
Mi guardo intorno e la stanza è piena di persone, ora saranno almeno 15!
Occhi di ghiaccio mi visita e sento che dice: “Chiamate il primario, sento parti piccole!”
Trenta secondi dopo arriva, col suo sorriso rassicurante, e con lui una ginecologa che conosco (si occupa di volontariato in Africa ed è amica di amici). Lui si siede tra le mia gambe e mi visita e lei si mette al mio fianco. Sento che parlottano, lei manda fuori Dodo “E’ meglio che lei esca!”
Mi preoccupo. “Ma ci sono problemi?” chiedo. Il primario, mentre mi rompe il secondo sacco mi spiega che il bambino ha un braccio sopra la testa e che deve manovrare per permettergli di uscire.
E qui iniziano i 5 minuti più lunghi e dolorosi della mia vita.
Mi dicono di tenere chiusi gli occhi di rilassarmi e di iniziare a spingere quando me lo dicono (io in realtà non sento più le contrazioni). Parlottano ancora tra di loro … ma l’agitazione mi passa, perché improvvisamente sento come un treno che mi entra nella patata … ma sono qui per far uscire un bambino, non per far entrare un adulto!!!!!! Strafugna, gira, tira, spinge … io non lo so esattamente cos’ha fatto, ma dentro di me c’era solo il desiderio di rifargli tutto all’ennesima potenza! Voglio Dodo. Voglio che tutto questo finisca al più presto. Sento le formiche nelle mani, come quando, prima di un esame all’università, sentivo chiamare il mio nome e mi veniva solo voglia di voltarmi ed andarmene; però poi mi sedevo davanti al prof, il formicolio passava e tutto andava per il meglio.
Arriva una voce nuova (ho gli occhi chiusi, tutto il contorno oramai è fatto di suoni e sensazioni), mi dice che va tutto bene, che mi danno un po’ d’ossigeno. Mi infilano due cannette nel naso e sento un odore di mentolo. “Respira bene che così arriva tutto al tuo bimbo” … io respiravo bene anche prima, e ‘sti due cosi nel naso mi creano prurito e fastidio.
Finalmente mi dicono di spingere quando arriva una contrazione. Io non sento più nulla, forse le “grandi manovre” del primario hanno allargato talmente tanto il mio apparato riproduttivo da rendermi insensibile alla sua stessa esistenza … spingo lo stesso, una volta, due volte, senza quasi dolore esce … e anche Gabriele è arrivato. Stessa attesa, stesso patema d’animo, stesso minuscolo vagito, e di nuovo due mani sconosciute me lo fanno vedere si sfuggita. E’ come suo fratello, mi sembra.
La tortura contunua, secondamento abbastanza veloce e occhi di ghiaccio mi ricuce l’episiotomia. Chiedo dei bimbi, la dottoressa esce e torna dicendo che stanno bene, il primo nato è 2,550 il secondo 2,160. Ho un tuffo al cuore, così piccolo! Non sento neanche più che mi cuciono, penso all’incubatrice, al non poter andare a casa da Cecilia al più presto …
Finito il ricamo (anche questa volta abbastanza fastidioso) Dodo torna … “Li ho visti, stanno bene, respirano da soli, ma per precauzione li tengono un po’ in culla termica”. Di lui mi fido, per cui mi tranquillizzo un pochino.
Sono di nuovo coricata su un lettino, sempre in sala parto. Devo stare lì due ore, mi dicono, e poi potrò andare dai miei bambini.
Quanto sono state lunghe quelle due ore, eterne!
Dodo seduto accanto a me, finalmente parliamo anche di Ceci, di quando mi verrà a trovare. Inizialmente non voglio parlare dei bimbi, voglio vedere con i miei occhi, voglio prenderli in braccio, poi parleremo.
Sono calma, ma carica di adrenalina, l’ostetrica mi dice di riposarmi un po’ ma tanto non ci riesco, voglio alzarmi ed uscire da lì.
Le due ore passano ma non mi fanno ancora uscire. Mi alzo, spazientita. Una nuova ostetrica mi dice che devo aspettare non so chi o cosa prima di andare al nido. La guardo con un sorriso e le dico di togliermi la flebo, perché io sto per uscire ed andare dai miei bambini. Dodo mi dice “Calmati”. Ma io sono calma, voglio solo uscire! Tolta la flebo, in un nano secondo sono al nido.
Dio mio … piango ora le lacrime che ho ricacciato indietro nel momento in cui li ho visti, uno di fianco all’altro nella culla termica. Girati tutti e due verso di me, Andrea che infilava un gomito in bocca a Gabriele che accennava a succhiarlo. Piccoli, il torace di Gabri la metà di quello di Andrea che già era piccolo. Le gambe secche, minuscole. Le manine che si muovono a scatti a tastare questa nuova dimensione … Dio mio quanto spazio che c’è qui, sembrano dire, e neanche la mamma ad abbracciarci, a rimpicciolire questo mondo immenso. Gabri ha dei graffi su un polso (mi spiegeranno che hanno dovuto usare la ventosa per metterlo in posizione e l’hanno graffiato …). I loro cuoricini monitorati. Guardo loro, i monitor, Dodo, mi prende un singhiozzo e Do mi dice: “Guarda che va tutto bene, non vedi come sono belli e in forma”. E’ un bugiardo, perché anche lui ha le mie paure, ma stavolta è convincente. Stiamo lì, abbracciati, a guardarli per non so quanto tempo, li studiamo, li analizziamo, gli parliamo … li amiamo.
Arriva il neonatologo e ci spiega che di entrambi alla nascita l’Apgar era 7, salito a 9 dopo 5 minuti. Hanno dovuto ventilarli un attimo, ma stanno bene. La culla termica è solo per un adattamento graduale all’esterno, sarà x qualche ora se le cose restano così.
Le tre ore successive sono lunghissime. Prima cosa mando Dodo a comprarmi da mangiare, ho una fame che mi tremano persino le mani … e a comprare un fiocco da appendere alla porta della stanza. Percorro il corridoio, 100, 1000 volte, non posso stare seduta (anche i punti danno un po’ fastidio). Ogni 30 secondi vado a sbirciare al nido, un’infermiera mi accoglie sempre con lo stesso sorriso e mi strizza l’occhio “Tranquilla, tutto bene, sono vivaci”. Ci credo … ma li voglio!
Dodo torna e col fiocco e due focaccine pomodoro e mozzarella, mi porta su la mia Tata, la mia migliore amica. Mi abbraccia, piangendo di gioia. Ci sediamo a mangiare ed aspettare, le racconto tutto, ridendo e piangendo, tranne la mia ansia di non averli ancora potuti toccare, di averli visti solo attraverso un vetro. E’ tutto troppo grande anche solo per ammetterlo con me stessa, o con Dodo o con lei. L’aver partorito, due volte in 15 minuti, e non aver ancora potuto toccare con mano il “mio miracolo”, l’essere distante da loro nei primi attimi della loro vita, così importanti per tutti e tre … non dico nulla ad alta voce, anzi ricaccio indietro ogni pensiero cattivo, sorrido e mi dico che è tutto ok, anche se non ci credo. Però passo mezz’ora un po’ più tranquilla, soprattutto riprendo un po’ di forze e le mani smettono di tremarmi.
Poi torniamo al nido e loro sono fuori dalla culla termica, vestiti nelle tutine enormi zero mesi. Ci fanno entrare e finalmente li prendiamo in braccio, porca miseria che bello!!! La Tata ci guarda con le lacrime agli occhi, ci bacia e se ne va dicendo “Questo è un momento solo vostro, vi voglio bene” … Io ho Gabri, è più piccolo delle bambole di Ceci, due occhi enormi in un visino minuscolo, poi Andi, una Cecilia bionda appena nata (Ceci aveva i capelli neri). Io e Do ce li scambiamo, li baciamo e ci baciamo, commentiamo la loro meravigliosa bruttezza; finalmente i nostri naufraghi sono qui, per essere ristorati ed accuditi, per essere accompagnati nella vita con tutto l’amore di cui siamo capaci. Non riesco a concentrarmi su nessuno dei due mi sembra, ma in realtà immagazzino tutte le votre peculiarità di gemelli diversi, di persone uniche ed irripetibili … il colorito, la curva della guancia, le rughe, le dita lunghe e grinzose … Andrea e Gabriele, benvenuti amori miei!
Il doppio miracolo è compiuto, non grazie a me ma attraverso di me. Mi sento forte come non mai, doppia fatica, ma ora doppia energia, doppie lacrime di gioia, doppio amore per Dodo che è come sempre di fianco a me, morbida roccia della mia instabile emotività, della mia meravigliosa vita.
L’amore si moltiplica e non si divide tra i figli. Noi l’abbiamo triplicato in un secondo.
Il mio doppio miracolo
- Eva
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Il mio doppio miracolo
Cecilia 24/03/2004
Andrea & Gabriele 01/06/2006
I giusti possono avere idee sbagliate, ma le azioni, quelle non le sbagliano mai.
Le persone non si rivelano né si giudicano da ciò che dicono, ma da ciò che fanno, perché le parole e le idee – anche le più belle - nascono dal cervello, i gesti dal cuore.
M. Gramellini
Andrea & Gabriele 01/06/2006
I giusti possono avere idee sbagliate, ma le azioni, quelle non le sbagliano mai.
Le persone non si rivelano né si giudicano da ciò che dicono, ma da ciò che fanno, perché le parole e le idee – anche le più belle - nascono dal cervello, i gesti dal cuore.
M. Gramellini
- lenina
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e io con 30 gradi o i brividi...
“Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.” (Ettore Petrolini)
http://franceefamiglia.com/
Mamma di Lorenzo: 04/12/2007 e di Marzia (ex parassitina poi BIMBA BUFFA ora BIMBA PAZZA) 27/12/2010
“…Anche se, adottando certi metodi, i nostri figli, forse, mangerebbero meglio o dormirebbero di più, ci ubbidirebbero senza lamentarsi o starebbero un po’ più zitti, noi non li possiamo usare. E non necessariamente perchè questi metodi siano inutili o controproducenti, nè perchè causino traumi psicologici. Alcuni dei metodi che criticheremo in questo libro sono efficaci, e forse qualcuno sarà anche innocuo. Ma ci sono cose che, semplicemente, non si fanno”.
Carlos Gonzales.
Tratto da "Besame Mucho"
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Mamma di Lorenzo: 04/12/2007 e di Marzia (ex parassitina poi BIMBA BUFFA ora BIMBA PAZZA) 27/12/2010
“…Anche se, adottando certi metodi, i nostri figli, forse, mangerebbero meglio o dormirebbero di più, ci ubbidirebbero senza lamentarsi o starebbero un po’ più zitti, noi non li possiamo usare. E non necessariamente perchè questi metodi siano inutili o controproducenti, nè perchè causino traumi psicologici. Alcuni dei metodi che criticheremo in questo libro sono efficaci, e forse qualcuno sarà anche innocuo. Ma ci sono cose che, semplicemente, non si fanno”.
Carlos Gonzales.
Tratto da "Besame Mucho"
- Eva
- Utente Vip
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- Joined: Tue Dec 19, 2006 5:03 pm
anch'io mi sono di nuovo commossa a rileggerlo ... i miei cuccioli che sono cicci e mi chiamano mamma, ripensarli così piccoli non mi sembra reale.
Grazie a tutte
Grazie a tutte
Cecilia 24/03/2004
Andrea & Gabriele 01/06/2006
I giusti possono avere idee sbagliate, ma le azioni, quelle non le sbagliano mai.
Le persone non si rivelano né si giudicano da ciò che dicono, ma da ciò che fanno, perché le parole e le idee – anche le più belle - nascono dal cervello, i gesti dal cuore.
M. Gramellini
Andrea & Gabriele 01/06/2006
I giusti possono avere idee sbagliate, ma le azioni, quelle non le sbagliano mai.
Le persone non si rivelano né si giudicano da ciò che dicono, ma da ciò che fanno, perché le parole e le idee – anche le più belle - nascono dal cervello, i gesti dal cuore.
M. Gramellini