Il bus numero 44 – DSA – Different Solving Approach

IL BUS NUMERO 44, VERSO UN INCUBO O UN’OPPORTUNITA’?

dsa opportunità o incuboÈ buio o comunque non c’è abbastanza luce. Non mi curo della location, per quanto bizzarra, e trovo un posto in fondo al bus, schiacciata tra una bionda voluminosa e un ragazzo sui vent’anni. È sul bus n. 44 che si tiene la prova a tempo di lingua inglese per la certificazione. A me serve questa certificazione. Sono docente di inglese e bilingue. Non dovrei avere problemi, ma mi serve dannatamente questa certificazione e sono leggermente in ansia.

Ho bisogno di ottenere un buon risultato, ma non vedo perché dovrebbe essere altrimenti. Sono molto preparata.

Tuttavia, iI parlottio generale e la luce fioca mi preoccupano: capirò le consegne? Vedrò bene il testo? Il bus è in sosta alla fermata e il rumore di fondo del motore non aiuta.

Un docente-controllore legge le istruzioni che capisco a malapena. Pare ci sarà una prova di listening&comprehension (ascolto e comprensione), vari esercizi di completamento, i classici vero-falso e un brano da leggere con domande di comprensione.

Il docente-controllore consegna le schede ai partecipanti. Sono scritte in un font assurdo, mai visto prima, sembra cirillico e la dimensione del carattere è piccolissima. Mi servirebbero gli occhiali. Ma non li ho. Poi mi viene in mente che io non ho mai portato gli occhiali. Eppure oggi sarebbero serviti.

Un altoparlante inizia con la lettura del brano, ma vuoi per il fragore prodotto dal bus ora in corsa, vuoi per quelli che parlano e disturbano, capisco poco e niente. La stessa voce dell’altoparlante è distorta. Strano che il docente-controllore non se ne accorga e non richiami nessuno all’ordine. In fondo è una prova d’esame. Una prova seria.

Quando l’altoparlante finisce la lettura, mi viene chiesto chi fa cosa, come, dove e quando la fa. Non ho capito ‘quando’, perché in quel frangente il bus frenava, producendo uno stridore assordante di freni e di ferraglia e tutti abbiamo dovuto pensare a tenerci, per non scivolare dalla posizione seduta sui sedili di plastica lucida, che la mia giacca a vento di nylon liscio, contribuiva a rendere ancora più instabile.

Insomma non riesco a rispondere. Non riesco a rispondere nemmeno alla domanda ‘dove’ fa quel ‘qualcosa’ il ‘chi’, che mi parve essere un turista che chiedeva informazioni, perché la voce dell’altoparlante a un certo punto si era interrotta e aveva ripreso più avanti.

Nessuno dei partecipanti mi pare turbato dalla cosa. E’ possibile che solo io lo abbia notato? Sono in ansia. Possibile che solo io incontri difficoltà di accesso a quelle informazioni che mi servono per rispondere?

Di fatto il tempo è già scaduto e l’altoparlante annuncia già la seconda prova. Nemmeno le mie rimostranze esplicitate al docente-controllore di guardia hanno alcun successo.

“Mi scusi, ma non si è sentito cosa diceva. È possibile riascoltarlo?”. Nessuna risposta. Le regole sono chiare: “non disturbare il conducente e nemmeno il controllore”.

Il docente-controllore è un uomo sui quarant’anni, scuro di capelli e con occhi cerulei, che mi fissa con un’espressione impassibile, come se non avessi detto nulla.

Mi sento trasparente, inadeguata e inizio a pensare di aver fatto una domanda fuori luogo, visto che sono l’unica a essere così visibilmente preoccupata. Intanto l’ansia sale perché, mentre parlo, la voce dell’altoparlante ha già dato istruzioni di passare alla prova seguente, per la quale dovremmo avere circa trenta secondi, o almeno credo, perché non ho potuto sentire: stavo, appunto, ponendo la domanda al docente-controllore.

Poi capisco che si tratta di rispondere con “è vero che Mr X ha fatto qualcosa” o “non è vero che Mr X ha fatto qualcosa” e poi “è vero che non è vero che Mr X ha fatto qualcosa” e poi “non è vero che è vero che Mr X non ha fatto qualcosa”. Ciò che Mr X aveva o non aveva fatto non lo avevo capito, come potevo dunque sapere se era vero o non vero che aveva fatto o non aveva fatto qualcosa, o se era vero che non era vero o se non era vero che era vero che aveva o non aveva fatto qualcosa? La testa inizia a girarmi e mentre penso ciò, la voce dell’altoparlante annuncia l’approssimarsi della scadenza del tempo a disposizione per l’esercizio numero due, in uno snervante countdown.

Ed è già tempo per la consegna della prova numero tre.

Per fortuna questa consegna è riportata anche a inizio esercizio, sulla scheda che ci è stata consegnata, ma intanto il bus è entrato in galleria e la luce, già scarsa, è ora così flebile che non riesco a leggere.

Le parole sono scritte in un altro font inconsueto e il carattere troppo piccolo da poter leggere.

Sballottati di qua e di là dal bus in corsa, le lettere sfuggono al controllo e le righe non sono più parallele; si accavallano e a un certo punto si intersecano e dove si intersecano, il discorso riprende la frase della intersecante. Impossibile leggere. Impossibile dare un senso, se mai ci fosse, a tutto ciò.

L’ansia sale ulteriormente e sta diventando incontrollabile. A vedere dai buchi nel testo sottostante da completare, credo si debba inserire la parola corretta e mi accorgo che le parole tra le quali scegliere scorrono, anzi no, fluttuano a caso, sullo stretto schermo rettangolare appeso, in alto, nella parte anteriore dell’abitacolo del bus, proprio alle spalle del conducente: lo schermo che dovrebbe annunciare la prossima fermata. Ne avevo già perse sicuramente una decina e ormai anche l’esercizio numero tre era perso. Colgo solo un paio di aggettivi e un avverbio che inserisco a caso, perché non riesco a leggere il testo in miniatura che ci è stato proposto.

Penso che questo test si annuncia un disastro. A me la certificazione serve, non posso farne a meno per il mio lavoro.

Vedo un posto libero a metà bus e mi sposto velocemente nel disinteresse del resto dei passeggeri, intenti a svolgere la loro prova. Mi sembra di vederci meglio, c’è un po’ più di luce, ma non mi accorgo che il sedile si trova proprio sopra alla ruota del bus. Ora la vibrazione è maggiore e per nulla d’aiuto. Intanto chi ha già finito chiacchiera, producendo un brusio snervante di fondo, che copre anche il pensiero logico. E l’ansia sale ancora.

Inizio a domandarmi fino a che punto l’ansia possa salire. Se esiste un momento culminante e come lo si può riconoscere e in che cosa può consistere, visto che il mio stato di ansia è sempre e solo in costante fase crescente.

Mentre ragiono su questo è già scaduto il tempo per completare la prova numero tre e viene annunciata la quarta prova: lettura individuale di un brano e rispondere ad alcune domande. Inizia la nausea, non so se per il bus che ha preso una strada montana tutta a curve o per il fatto che, di nuovo, le righe si confondono.

Mi ci vuole un tempo inverosimilmente lungo per leggerlo tutto. In condizioni normali sarebbe una passeggiata. Tuttavia nel momento in cui mi accingo a decodificare le domande di comprensione, l’altoparlante decreta lo stop. Il tempo per la prova di inglese è finito e il docente-controllore inizia a ritirare i fogli. Cerco di sfruttare al massimo quei pochi secondi a disposizione, mentre raccoglie le schede dei passeggeri seduti davanti a me, ma riesco a rispondere solo alla prima delle dieci domande. Un disastro. Mi sono fumata la certificazione.

Mentre penso questo, sento una voce lontana chiamarmi: “mamma!”, “mamma svegliati!”, “sono già le 7.30 e rischio di perdere il bus. Cosa fai ancora a letto? Alla prima ora ho la verifica di inglese! Non voglio perderla, ci tengo! Lo sai che in inglese sono brava”.

“Scusami cara”, rispondo confusa, non appena mi rendo conto dove mi trovo. “Ho avuto un incubo. Tu vai tranquilla”.

Ora sapevo esattamente come si sente mia figlia. Lei e la sua amica dislessia.

“Spero solo che la tua scheda sia strutturata in maniera più esplicita della mia, che i caratteri siano abbastanza grandi, che il font sia chiaro, che ti sia concesso abbastanza tempo per la lettura, per rispondere e per dimostrare quello che sai. E per avere le tue soddisfazioni e non sentirti sempre inadeguata”. Ma lo pensai solo, perché non le dissi nulla.

“In bocca al lupo, M.”

“Crepi! Anche se mi dispiace un po’ per il lupo”, replicò.

A volte si tratta di non dover perdere il proprio bus, a volte di dover scendere quando è quello sbagliato.

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