Crisi greca: qualche informazione per capirne di più

La crisi del debito greco è probabilmente una delle prove più dure che l’Europa si sia mai trovata ad affrontare dalla sua nascita come entità economica (per quella politica, purtroppo, sembra ci sia ancora molto da lavorare).Cerchiamo brevemente di capire come siamo arrivati a questo punto e quali possano essere le prospettive per il futuro.

crisi greca

Perché la crisi?

La crisi inizia nel 2009.

Il governo socialista appena eletto si trova a rivelare che l’ingresso nella UE è stato viziato da una menzogna. In pratica i governi precedenti avrebbero falsificato i bilanci per rientrare nei parametri richiesti. Emergono i dati veri: la Grecia è al 12,5 % di rapporto deficit-Pil, mentre i famosi parametri di Maastricht prevedono il 3% e i bilanci falsificati parlavano di un 6%. Ci sono altri stati non propriamente virtuosi all’interno dell’UE, ma quello greco è un dato a dir poco allarmante. Nel 2010 iniziano le prime richieste di aiuto internazionale da parte del governo greco. Alla fine di faticose trattative viene varato un prestito di 110 miliardi in cambio di un severo piano di razionalizzazione delle spese interne (30 miliardi i tagli previsti). Il deficit continua a non venire intaccato e, nel frattempo, i tagli iniziano a coinvolgere lo stato sociale e i dipendenti pubblici; la disoccupazione vola oltre il 28% (al 60% quella giovanile).

Nel 2011 si raggiunge già una situazione di default. Per salvare il paese dal fallimento viene di nuovo negoziato un accordo in base al quale i banchieri accettano di perdere il 21% dei crediti accumulati.

Tra 2012 e 2015 si rincorrono incontri, negoziati, crisi di governo ed elezioni. L’Ue e il FMI continuano a chiedere una politica di austerità che però deve fare i conti con la situazione sociale e con il crollo della domanda interna. Si susseguono scontri di piazza tra estremisti di destra e di sinistra e manifestazioni contro l’austerity, in particolare contro la Germania (principale creditore). Ma gli indicatori economici non migliorano.

Qual è lo stato attuale?

Nel 2015, finalmente, le elezioni rendono possibile un governo di coalizione con a capo Tsipras, nuovo esponente della sinistra, che ha fatto campagna elettorale contro l’austerità e contro l’Europa. Tsipras fin dalla sua elezione cerca di far pendere il piatto dalla sua parte, cercando di porre un freno alle richieste europee, confidando nel timore che il default e il movimento no-euro potrebbero infliggere all’Europa. Cosa strana – pur essendo un leader di sinistra – riceve l’appoggio nella sua campagna antieuropea anche da gruppi di destra che lo considerano un apripista al movimento no-euro. Alla fine ottiene una proroga di quattro mesi. Fino a oggi. La rata al FMI scadeva il 5 giugno ma non è stata saldata. Il governo dapprima sostiene che verrà saldata il 30, poi che non verrà pagata. L’FMI minaccia di avviare la procedura di messa in mora. Nel frattempo si avvicina un’altra fondamentale scadenza, quella del debito verso la BCE, il 20 di luglio, fondamentale perché Mario Draghi non ha per adesso sospeso l’accesso della Grecia all’ELA, il fondo per le emergenze al quale possono attingere gli stati membri, ed è solo grazie a questo fondo che le banche greche non sono ancora state dichiarate fallite. Se la rata del 20 saltasse senza altri accordi, probabilmente anche questo rubinetto verrà chiuso.

Quali sono le prospettive future?

Da una parte, l’urgenza è relativa e c’è ancora spazio per le trattative, come dimostrano i botta e risposta delle ultime ore. Il FMI infatti ha una procedura abbastanza lenta per la messa in mora, che può durare mesi. Nel caso peggiore (e cioè che non venga raggiunto un nuovo accordo) la Grecia rischia l’espulsione dal FMI, il che significherebbe un colpo mortale all’economia, perché verrebbe esclusa da qualsiasi possibilità di finanziamento da parte del fondo e molto probabilmente anche dei Paesi membri.

Che cos’è il FMI?

Il FMI sta per Fondo Monetario Internazionale; altro non è che un’associazione di 188 stati che hanno stabilito un fondo comune da utilizzare per scopi economici di salvaguardia dei membri. Ogni membro ha diritto di voto in base a quanti soldi mette, quindi va da sé che gli stati ricchi abbiano più potere decisionale di quelli poveri, motivo per cui a volte è stata una istituzione pesantemente criticata di soggezione nei confronti dei potenti. Inoltre la concessione di prestiti è subordinata al risanamento e alla razionalizzazione dell’economia interna dello stato richiedente. Esserne espulsi vorrebbe dire non avere più accesso a questi fondi e non trovare più nessuno stato disponibile a prestare denaro.

Essere espulsi dal FMI vuol dire uscire dall’euro?

No.

Qui, come ha dichiarato il presidente della BCE Draghi, ci addentriamo in acque sconosciute. Perché? Perché in teoria l’adesione alla Ue è irrevocabile. Quindi, sempre in teoria, dovrebbe essere scelta autonoma della nazione greca quella di uscire dalla comunità europea e di riadottare la dracma come moneta nazionale. Lo scenario per una decisione del genere però appare abbastanza drammatico; gli esperti calcolano infatti che la dracma rientrerebbe con una svalutazione del 40%, quindi con un crollo del potere di acquisto del salario medio di quasi la metà, specialmente per tutti quei beni e quelle risorse importate dall’estero per le quali il costo aumenterebbe a causa del cambio sfavorevole. L’esempio più lampante è la benzina. La Grecia, come l’Italia, è un paese povero di materie prime e deve acquistare da altri paesi le risorse necessarie (per esempio il petrolio). Ma mentre l’export italiano copre comunque una discreta fetta del Pil, l’export greco è ridotto (parliamo del 7-10%). Una svalutazione della moneta comporterebbe quindi enormi problemi interni non compensati da una maggiore appetibilità dei prodotti greci all’estero e quindi di una ripresa dell’economia. La minaccia dell’uscita dall’euro prevede comunque un costo altissimo per la popolazione, forse superiore alle richieste dell’Ue, per quanto malviste e durissime (i vari prestiti concessi, per circolo vizioso, sono finiti per necessità di coprire il pagamento degli interessi piuttosto che in opere di investimento e di razionalizzazione).

Dall’altra parte l’UE risentirebbe a livello di economia monetaria una decisione così drastica, in quanto aprirebbe le porte a una instabilità monetaria e a un aumento degli spread (cosa che danneggia tutti ma in particolare i Paesi più deboli, tra cui l’Italia stessa). La prospettiva Grexit, come è stata ribattezzata, non è quindi indolore. Non per niente perfino Obama è intervenuto per spingere verso ulteriori trattative. La BCE però sembra essersi ben preparata a ogni evenienza e pare pronta a fronteggiare eventuali nubi con attenzione sì, ma non con terrore. E questo non depone a favore della tattica greca.

E l’Italia?

L’Italia è esposta con 36 miliardi di credito, sborsati non direttamente ma tramite le quote versate a BCE, FMI e fondo salvastati europeo, e poi girate in varie tranches al paese ellenico. Oltre ai pochi creditori direttamente interessati dal default greco (ditte che lavorano con e per la nazione greca, privati e banche che possiedono titoli greci), che rischiano di non vedere un soldo, a livello di economia nazionale un aumento dello spread dovuto a speculazioni monetarie porterebbe a un aumento del debito pubblico nell’ordine dei 4-5 miliardi all’anno, che non sono cifre insostenibili ma che per un paese ancora piuttosto esposto alla crisi non significano poco sforzo. Comunque, tutto sommato, si tratterebbe di un brutto temporale ma non di un tornado.

Renzi in queste ultime ore ha sentito Tsipras ma ha avuto parole di critica verso la sua politica.

Perché il referendum?

Tsipras ha indetto un referendum per il 5 luglio, in modo da rimettere al popolo la decisione di accettare o meno il nuovo piano di aiuti europeo. Tsipras si è già espresso chiaramente per il no, anche se i sondaggi paiono far trapelare una vittoria del sì. Il referendum diviene quindi una specie di ultimatum o di plebiscito pro o contro Tsipras, pro o contro l’Ue. E l’Ue stessa pare non abbia gradito questa mossa. Alcuni parlano di mossa apprezzabile in quanto fortemente democratica, altri sostengono che in realtà sia un segno della debolezza di un governo che non è in grado di prendere decisioni e affida al popolo la scelta di quale morte morire.

Quale futuro per l’Europa?

Va per correttezza detto che l’Europa non ha affatto lesinato aiuti in questi anni e che in termini di diritto la classe politica greca è pienamente responsabile della crisi attuale; ma l’Ue a marchio Merkel insiste a procedere con una mentalità tatcheriana (dal nome di Margaret Tatcher, che i più giovani di me non si ricorderanno, forse: primo ministro inglese negli anni ‘ 80, sostenne una politica severissima contro i sindacati e non  si lasciò piegare dai numerosi scioperi di protesta): tagli allo stato sociale e  fedeltà ai parametri astratti dell’economia. Ci sarebbe un’altra via, forse più morbida, che sarebbe quella dell’approccio di tipo keynesiano (dal nome dell’economista Keynes), che punta molto di più sul sostegno al consumo e alla domanda interna, anche se ciò può portare a un momentaneo aumento del deficit. Questa è la scelta che hanno fatto gli Usa e che forse si rivelerebbe vincente nel risollevare una domanda interna ormai compromessa in Grecia (ma anche in Italia) dal peso fiscale, dalla corruzione diffusa e dalla disoccupazione. L’Italia rispetto alla Grecia ha il merito di avere una economia più forte e soprattutto banche ritenute affidabili a livello europeo. Keynes (vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, non credeva nel liberismo sfrenato del mercato, e riteneva che lo Stato dovesse intervenire, in tempi di alta disoccupazione, incrementando così la spesa pubblica, per riportare un equilibrio che il mercato libero, abbandonato a se stesso, non è in grado di creare. Famosissima la sua battuta, contro un gruppo di critici che sosteneva come i suoi modelli fossero deboli nel lungo periodo: “Nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Una soluzione, quella keynesiana, che forse dovrebbe essere adottata anche dall’Europa, visto che la crisi greca è, comunque andrà a finire, un fallimento dell’idea di Europa solidale che hanno sognato i nostri padri.

Fonti:

http://it.euronews.com/2015/06/17/grecia-le-tappe-della-crisi-del-debito/

http://www.lavoce.info/archives/19009/s … etitivita/

http://it.ibtimes.com/grecia-ma-e-cosi- … mi-1408250

http://it.ibtimes.com/grecia-default-se … ro-1408141

 

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