Sergio Ostinelli, giornalista sportivo RTSI (televisione svizzera) reduce dai giochi olimpici di Pechino, ci racconta la Cina e risponde alle nostre domande.

La Cina sta facendo una rivoluzione senza con questo abbattere la grande muraglia.
Il più grande paese al mondo a regime comunista sta subendo una trasformazione economica, tecnologica e urbanistica di stampo capitalistico.
Oggi di fatto Pechino è già una metropoli occidentale, pur conservando alcune vestigia del suo lunghissimo passato.
I nuovi simboli sono il Pangu Hotel, il secondo albergo al mondo a 7 stelle, e il nuovo centro della televisione cinese, una specie di arco di trionfo di vetrocemento destinato a diventare il simbolo della nuova Pechino degli anni 2000.
Occorrerà vedere adesso come Pechino gestirà la depressione del dopo olimpiadi comune a tutte le città che ospitano i giochi. A quattro anni di distanza dai giochi di Atene la maggior parte degli stadi e degli impianti che ospitarono le competizioni olimpiche sta cadendo a pezzi. Considerando l’orgoglio umano e politico dei cinesi c’è da credere che le nuove infrastrutture delle quali si è dotata Pechino per ospitare i giochi verranno convenientemente sfruttate per lo sviluppo fisico di una popolazione che si situa attorno ai 18 milioni di abitanti e che non dovrebbe quindi porre problemi per un uso razionale e pianificato degli impianti.
L’olimpiade è stata un’isola felice e non era sicuramente il periodo ideale per dare giudizi definitivi su un paese, il suo tenore di vita e le scelte politiche di chi lo dirige, ma la sensazione avuta da tutti noi è stata quella di un paese in crescita che sta vivendo senza troppi problemi questo gigantesco progetto di rinnovamento.
Intervista a Sergio Ostinelli
D. Dietro le prestazioni degli atleti cinesi cosa si nasconde? Semplicemente tanto allenamento e la voglia di riscatto verso l’occidente (o meglio un diktat addirittura governativo) o come è arrivato a noi tanto doping e qualche aiutino dalle commissioni?
R. È indubitabile, come sempre accade, che gli atleti di casa abbiano avuto un certo trattamento di favore delle giurie e degli arbitri. Non mi pronuncio sul doping perché resto in attesa di comunicazioni ufficiali. È sicuramente vero che i cinesi da quando si sono visti assegnare i giochi sette anni fa hanno lavorato in modo incredibile, anche in discipline in cui non avevano alcuna tradizione, per vincere il maggior numero possibile di medaglie d’oro ai loro giochi. Lo scopo dei cinesi non era tanto quello di incantare il mondo ma piuttosto quello di superare gli americani nel medagliere. E ci sono riusciti. Per tornare al discorso di prima e fare un esempio concreto, ho seguito la finale di hockey su prato femminile tra Cina e Olanda. Le ragazze europee nelle ultime tre edizioni dei giochi erano sempre salite sul podio. L’hockey su prato in Cina solo fino a dieci anni fa era praticamente sconosciuto eppure la squadra cinese è riuscita ad arrivare fino alla finale perdendo solo 0 a 2 contro la squadra olandese, che è parsa nettamente più forte ed esperta. E questo è successo in molte altre specialità. Insomma i cinesi hanno voluto stupire il mondo non solo con i loro spazi, le loro infrastrutture avveniristiche e la loro efficientissima organizzazione, ma anche con la sostanza delle imprese sportive dei loro atleti.
D. Ci racconta qualche aneddoto del dietro le quinte?
R. Per i cinesi tutto doveva essere perfetto e per questo hanno curato anche i dettagli apparentemente più insignificanti. Ad esempio per evitare che le bandiere, durante le premiazioni e durante la cerimonia di apertura, rimanessero afflosciate per la totale mancanza di vento hanno inserito in cima al pennone uno speciale dispositivo che faceva fuoriuscire dell’aria spiegando così le bandiere che sventolavano con grande solennità.
Inoltre alla cerimonia di apertura, a un certo punto si è vista una ragazzina cantare una canzone cinese. La voce tuttavia non era la sua ma quella di un’altra ragazza più brava di lei a cantare ma meno bella da proporre al mondo durante la cerimonia di apertura. Immaginiamo la frustrazione della ragazza che ha prestato la voce!
Il giorno prima della conclusione dei giochi, alle tre di notte, l’intera città di Pechino è stata svegliata da assordanti rumori. Tutti abbiamo pensato a un grande temporale. Invece ci hanno poi spiegato che si trattava del rumore provocato dai cannoni dell’esercito che hanno sparato dei siluri contro le nubi per scaricare l’acqua e proteggere quindi la cerimonia di chiusura dal pericolo della pioggia.
Sorprendente l’esubero di persone impiegate nell’organizzazione. Ad esempio, per salire sull’ovovia che portava sulla grande muraglia c’erano due controllori. Uno forava il biglietto con una tenaglia e l’altro lo strappava con le mani. Sempre così per 3 settimane.
D. Come ha vissuto la questione censura?
R. Onestamente non posso dire di avere subito delle censure o di essere stato minacciato. Tuttavia l’impressione che abbiamo avuto un po’ tutti è quella di essere sempre sorvegliati. Ci è stato detto, ma non ho conferme, che tutti i servizi che arrivavano in Europa erano comunque ascoltati e analizzati soprattutto da incaricati delle varie ambasciate. Comunque confermo di non avere dati sufficienti per poter parlare di una censura effettiva.
D. Che aria si respirava rispetto alla questione Tibet?
Realmente i giochi sono stati un momento di intesa e rispetto?
R. L’atmosfera era idilliaca a tal punto da essere quasi sospetta. Pechino, durante i giochi, era praticamente blindata per cui risultava materialmente impossibile entrare nel perimetro riservato alle gare con striscioni o materiale dimostrativo. Ho avuto l’impressione che l’entusiasmo e il clima di esaltazione che si sono creati attorno alle gare abbia relegato in secondo piano soprattutto il problema del Tibet, molto sentito durante la vigilia. Non escludo che in qualche parte della sterminata metropoli pechinese qualche accenno di dimostrazione possa esserci stata, ma noi non ne abbiamo avuto notizie.