Chi ne soffre conosce bene questo termine… parlo del mal d’auto, mal di mare, mal d’aria, insomma quel malessere che colpisce in maniera più o meno seria alcune persone quando sono a bordo di un mezzo di trasporto in movimento.
Ahimè, personalmente lo conosco fin troppo bene, perché soffro di chinetosi (o cinetosi che dir si voglia) sin da bambina. Ricordo ancora come un incubo la vigilia della partenza per le vacanze, quando finita la scuola si andava per l’estate in montagna: da una parte la gioia di raggiungere la nostra casetta e rivedere gli amici di sempre e dall’altra il terrore per le due ore scarse di auto che si trasformavano per me e la mia famiglia in un vero calvario.
Non riuscendo a ingoiare quella minuscola pasticchina che avrebbe (forse) contrastato il mal d’auto, risultavano inutili tutti gli altri tentativi di evitare o alleviare il malessere: venivo fatta sedere sul sedile anteriore (all’epoca, purtroppo, ai bambini era permesso viaggiare davanti e anche senza cinture di sicurezza!), venivo tenuta digiuna dalla sera prima oppure rimpinzata di cracker; venivo distratta da canzoncine e giochi durante il percorso… ma niente da fare. Se riuscivo a resistere per il primo tratto del viaggio, alla prima sequenza di curve diventavo uno straccio: nausea, sudore freddo, tremore, abbassamenti di pressione e infine vomito. Un viaggio di due ore diventava un pellegrinaggio che durava almeno il doppio, fatto di tappe a ogni piazzola.
Quando vedevo finalmente il cartello stradale con il nome della destinazione d’arrivo, tiravo un sospiro di sollievo (e con me tutta la mia famiglia), ma rimanevo spossata per il resto della giornata.
Da grande le cose non sono purtroppo migliorate, sia perché la mia chinetosi è piuttosto forte (non sono potuta mai salire neanche sull’altalena), sia perché i viaggi si sono fatti più arditi di quelle due ore di auto!
Potete immaginare quindi con quanta apprensione ho temuto di trasmettere questa scomoda eredità ai miei figli: e purtroppo sembra essere il mio secondogenito il prescelto. L’ho scoperto sulla mia e sulla sua pelle!
Quando andammo negli Stati Uniti e lui aveva appena un anno e mezzo, in fase di atterraggio l’aereo cominciò a sobbalzare e io a stare male. Il bambino (avendo meno di due anni e non pagando quindi il biglietto) viaggiava fra le mia braccia e io non riuscivo neanche a voltarmi per rassicurare mio marito che, conoscendomi, mi chiamava da due file dietro dove era seduto a fianco all’altra nostra figlia per sapere come stavo. Poi il piccolino ha cominciato a gridare e a piangere “Mamma, batta!” (=mamma basta) e, nonostante i miei tentativi di farlo ciucciare e di rassicurarlo, nel momento esatto in cui le ruote dell’aereo hanno toccato la pista lui ha vomitato tutti gli omogeneizzati che aveva mangiato per il pranzo… sui suoi vestiti, sui miei, su quelli del passeggero a fianco, sul sedile e sul pavimento. La mia debolezza per la chinetosi mi aveva impedito di prendere per tempo l’apposita busta di carta in dotazione sugli aerei.
Oltre al disagio della situazione in sé, mi sono sentita in colpa perché sapevo perfettamente quanto stava male il mio piccolino. E ho deciso che avrei fatto del tutto per evitare che si ripetesse.
Ma cosa fare? Beh, una cavia in famiglia c’era, ed ero proprio io!
Da adulta riuscirei pure ad ingoiare la famosa pasticchina, ma questo farmaco ha la capacità di farmi sprofondare all’istante in un sonno profondo che dura almeno due ore. La cosa potrebbe risultare vantaggiosa se il viaggio fosse solo un trasferimento, ma meno utile se durante il tragitto devi occuparti di due bambini piccoli o se hai scelto di avvistare animali selvaggi sorvolando il Delta dell’Okavango a bordo di un Cessna.
Il cerotto? Ha lo stesso effetto soporifero su di me.
La gomma da masticare? Oltre a gonfiarmi e addormentarmi la lingua (come se un dentista l’avesse anestetizzata per sbaglio), mi provoca ancora più nausea.
Da un paio d’anni ho scoperto i braccialetti anti-nausea (tra l’altro consigliati anche per la nausea gravidica… io non mi sono fatta mancare neanche quella, e potete immaginare le conseguenze di quando ho viaggiato incinta!): quelli con me funzionano e mi hanno permesso di avvistare serenamente le orche in America a bordo di un battello o di raggiungere l’Isola d’Elba con il mare mosso senza star male.
E naturalmente funzionano anche con i miei figli. Si acquistano in farmacia, costano una ventina di euro, non fanno male, non hanno effetti secondari (perché agiscono secondo lo stesso principio dell’agopuntura, dello shiatsu e della digitopressione, cioè su un punto del polso correlato allo stato di nausea) e ne esistono di due misure, da adulto e da bambino, per adattarsi alla grandezza dei polsi. Vanno indossati una mezz’ora prima di mettersi in viaggio e tenuti per tutto il tempo.
Per il resto, valgono i consigli di sempre:
– Non dare niente da mangiare al bambino nei minuti immediatamente precedenti la partenza, soprattutto niente liquidi e latte, ma non farlo neanche viaggiare a digiuno.
– Portare snack salati da fargli sgranocchiare durante il tragitto.
– Approfittare dei suoi momenti di sonno per mettersi in viaggio (difficilmente la chinetosi si manifesta durante il sonno, anche se ci sono le eccezioni).
– Posizionare il seggiolino dell’auto sul sedile centrale posteriore, se possibile.
– Lasciare il bambino tranquillo durante il viaggio (non invitarlo a guardare fuori dal finestrino o a fare giochi che richiedano una concentrazione, soprattutto visiva).
– Tenere a portata di mano una busta di plastica per il vomito e sempre almeno un cambio di abiti.
– Se dice che sta male (o è troppo piccolo per dirlo ma voi vi accorgete che qualcosa non va), se siete in auto fermatevi subito, fatelo scendere e fategli prendere un po’ d’aria.
Il fatto che non abbia mai manifestato chinetosi prima, non vuol dire che ne sia immune o che comunque non ne possa soffrire occasionalmente: vigilate!