Come mamma di due bambini, so quanto sia delicato il rapporto tra cibo ed emozioni nell’infanzia. A volte mi trovo a chiedermi se sto facendo abbastanza per proteggere i miei figli dai disturbi alimentari, una preoccupazione che so essere comune a molte di noi. Per questo ho intervistato la Dott.ssa Deborah Colson, psicologa e psicoterapeuta responsabile del progetto FoodNet, un’iniziativa innovativa che sta rivoluzionando l’approccio alla prevenzione dei disturbi alimentari nei bambini. Il suo metodo unico si concentra su un aspetto spesso trascurato: il legame profondo tra cibo ed emozioni.
Quali sono i primi segnali che un genitore dovrebbe osservare in un bambino o adolescente, che potrebbero indicare una predisposizione verso un disturbo alimentare?
L’innestarsi di un disturbo alimentare può essere molto graduale, impercettibile e “segreto” (nel senso che le sue manifestazioni vengono spesso “protette” da chi le sperimenta, e per questo tenute quanto più possibile nascoste), dunque è importante avere in mente che il più delle volte non è semplice individuarle e avere immediata certezza della gravità della situazione. Va inoltre tenuto presente che il più delle volte l’emergere di una nuova attenzione al peso, alle forme corporee e a un’alimentazione attenta e rigorosa non coincide necessariamente con l’esordio di un DCA vero e proprio, ma rappresenta una difficoltà con l’alimentazione transitoria e tipica della fase evolutiva in corso. Ciò che i genitori possono fare è porre l’attenzione sulla pervasività e rigidità dei segnali rilevati: se per esempio il/la figlio/a inizia a manifestare una selettività alimentare specifica, sarebbe importante cercare di comprendere quanto spazio c’è per la flessibilità e la comprensione dei rischi connessi a tale scelta – senza porsi in un braccio di ferro o imporre decisioni dall’alto. Iniziare a ridurre i carboidrati o i dolci può essere un passaggio naturale e non per forza problematico, relativo più al fare parte di un gruppo di età in cui l’attenzione al cibo e al corpo è oggettivamente un elemento pregnante e oggetto di confronto, ma l’allarme dovrebbe subentrare qualora ci si accorga che mangiare un pezzo di pane o assaggiare un dessert diventa un problema evidente e qualcosa di intollerabile.
Perché è importante collegare il cibo alle emozioni e in che modo il progetto FoodNet favorisce la consapevolezza di questo legame nei bambini?
Per quanto sia noto e appurato tra noi professionisti del settore, il fatto che non si mangia solo per nutrirsi o per placare la fame, ma anche in risposta a stati e mutamenti emotivi, è spesso poco evidente. Numerosi studi hanno evidenziato che i sintomi delle patologie alimentari rappresentano strategie disfunzionali di regolazione emotiva (Bekker & Spoor, 2008; Harrison et al., 2009, 2010; Haynos & Fruzzetti, 2011; Oldershaw et al., 2012; Perthes et al., 2021; Sim & Zeman, 2006; Wildes et al., 2010). Per citare Macht (2005, 2008), “in tutti i DCA le emozioni intense – negative, ma anche positive – inducono a mangiare, o incidono sulla scelta degli alimenti scelti e/o sulla loro quantità”. Esplicitare e condividere questa premessa è spesso uno dei primi passaggi di ogni trattamento terapeutico con pazienti alimentari: il razionale alla base del progetto FoodNet è che farlo anche con bambini che ancora non hanno sviluppato problematiche alimentari li renderebbe più consapevoli e, dunque, più pronti e strutturati ad affrontare e gestire gli impulsi connessi all’alimentazione.
Inoltre, apprendere che il modo istintivo di reagire alle diverse emozioni non è universale, ma personale – e non per questo giusto o sbagliato – e imparare a tenerne conto nella propria vita di tutti i giorni può rivelarsi un prezioso strumento strategico, oltre che un valido elemento protettivo contro eventuali sintomi di disregolazione alimentare. Il progetto FoodNet ha ideato e messo a punto un modello di intervento ad hoc, con kit di materiali creativi, colorati e coinvolgenti che hanno lo scopo di favorire lo sviluppo della consapevolezza dell’importante quanto poco riconosciuto legame tra cibo ed emozioni, con il linguaggio e la leggerezza appropriati a bambini di 9/10 anni.
Si tratta di azioni formativo-esperienziali finalizzate alla costruzione di uno “scudo protettivo” verso il possibile sviluppo di un DNA, che, come sappiamo, generalmente si manifesta qualche anno più tardi. FoodNet ha progettato schede divertenti e stimolanti, esercizi interattivi, filmati, giochi individuali e di gruppo per far riflettere i bambini sul profondo e misconosciuto legame tra alimentazione ed emozioni.
Qual è il ruolo dei genitori nel prevenire lo sviluppo di un disturbo alimentare? Ci sono azioni pratiche che possono fare in casa?
Il ruolo della famiglia è cruciale. I DCA si sviluppano spesso in famiglie piene di amore e di ottime intenzioni, ma caratterizzate da una scarsa consapevolezza dell’importanza di condividere, esplicitare e tenere in giusta considerazione il mondo emotivo – e di conseguenza le comprensibili fatiche e difficoltà connesse alle varie fasi della crescita.
Più che azioni pratiche, si rivela spesso importante dare uno spazio di accoglienza, riconoscimento e valore ai sentimenti sperimentati dal/la figlio/a, e ai possibili, nonché comprensibili vissuti di paura, disorientamento e insicurezza che possono insorgere nell’affrontare il passaggio da un’età all’altra.
In che modo FoodNet differisce dai tradizionali programmi di educazione alimentare? Cosa rende unica la vostra strategia di prevenzione?
Per quanto parlare di cibo sano e fornire informazioni sull’ormai famosa piramide alimentare e su un’alimentazione equilibrata rappresenti certamente un elemento utile e virtuoso, i fondatori del progetto FoodNet sono consapevoli del fatto che tali contenuti non sarebbero sufficienti a configurare un’azione in grado di ostacolare l’insorgenza di una malattia del comportamento alimentare. Allo stesso tempo, affrontare con bambini delle classi elementari le varie forme di DNA risulterebbe poco efficace, se non addirittura controproducente, in quanto potrebbe trasmettere informazioni-trigger, con il rischio di comportamenti imitativi (che, come sappiamo, rappresentano un elemento rilevante negli esordi dei DNA) (O’Dea, 2005; Carter et al., 1997). Per poter mirare a un’efficacia preventiva verso manifestazioni complesse e subdole come le varie forme di patologie alimentari, FoodNet sa che è necessario affrontare fin da subito le tematiche emotive alla base di ogni forma di disturbo alimentare, ponendo dunque il focus sulla stretta e diretta connessione tra alimentazione e mondo emotivo.
Cosa consiglia a quei genitori che, nonostante tutto, vedono i propri figli sviluppare atteggiamenti preoccupanti verso il cibo? Come dovrebbero intervenire?
La prima cosa da fare quando si rilevano atteggiamenti verso il cibo rigidi, pervasivi e difficili da modificare, è chiedere un confronto con un professionista specializzato in DCA – che sia possibilmente parte di un’équipe multidisciplinare. Un DCA è sempre un disturbo complesso, multifattoriale e insidioso, che non può essere affrontato da soli o senza l’ausilio di figure altamente specializzate.
Ci sono dei rischi nell’affrontare il tema dei disturbi alimentari con bambini e adolescenti? Qual è il modo migliore per introdurre questi argomenti senza aumentare l’attrattiva di comportamenti imitativi?
Ogni fase evolutiva richiede un linguaggio e modalità comunicative attente e specifiche. Per esempio, affrontare con bambini delle scuole elementari le varie forme di DCA ed esplicitare i sintomi caratteristici risulterebbe poco efficace, se non addirittura controproducente, in quanto potrebbe effettivamente trasmettere informazioni-trigger, con il rischio di comportamenti imitativi (che, come sappiamo, rappresentano un elemento rilevante negli esordi dei DCA).
Con gli adolescenti è invece necessario saper riconoscere che hanno bene in mente le varie manifestazioni patologiche alimentari, e spesso mille domande a proposito: sarà dunque importante mettersi a disposizione per esplorare con loro queste tematiche, ponendo però attenzione a non entrare nel tranello di parlare di peso “giusto”, conteggio delle calorie, tempo necessario per bruciarle con i vari tipi di esercizio fisico, ecc.
Quali sono i metodi o gli strumenti principali che FoodNet usa per coinvolgere i bambini e aiutarli a riflettere sulla loro relazione con il cibo e le emozioni?
Come già anticipato, FoodNet ha espressamente progettato strumenti ad hoc per stimolare e rafforzare nei bambini una piena consapevolezza dei meccanismi emotivi alla base del dell’utilizzo del cibo e strutturare così una sorta di protezione verso il ricorso all’alimentazione in maniera istintiva e inconsapevole.
Tutti gli strumenti e gli esercizi sono visionabili sul sito www.foodnet.it, dove è possibile trovare diversi video che illustrano nel dettaglio il Modello di prevenzione primaria dei DCA nei suoi passaggi e dettagli.
Per citarne qualcuno:
– la Carta d’identità alimentare: distribuito nel primo incontro in classe, questo strumento – che rimanda, per immagine e struttura, alla vecchia carta d’identità cartacea – chiede ad alunni e insegnanti di descrivere se stessi attraverso la provenienza geografica della propria famiglia, cosa si mangia più frequentemente a casa, gli alimenti preferiti e quelli che piacciono di meno. Lo scopo della Carta d’identità alimentare è quello di permettere a bambini, operatori e insegnanti di presentarsi e conoscersi da un punto di vista particolare: affrontando, cioè, il tema delle abitudini, delle preferenze, dei gusti e delle tradizioni alimentari che contraddistinguono ognuno di noi.
– La Sagoma delle sensazioni e delle emozioni. Su un cartellone A3 con l’immagine di un bambino/a in costume, la classe è chiamata a localizzare le varie parti del corpo dove si percepiscono le varie sensazioni fisiologiche connesse all’alimentazione (fame, senso di pienezza, gola, nausea, ecc.); successivamente, si chiede ai bambini di indicare dove sentono nel corpo le 5 emozioni di base protagoniste del cartone animato Inside Out: Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. L’obiettivo di questo esercizio è suggerire ai bambini che ognuno di noi può percepire sensazioni ed emozioni in modi e parti del corpo differenti, in modo che questa consapevolezza stimoli l’ascolto attento dei propri segnali interni, ma anche delle reazioni delle altre persone.
A seguito di questo primo lavoro di gruppo, a ogni bambino – e a ogni insegnante – viene distribuita una piccola sagoma umana dello stesso genere di quello in cui ciascuno si identifica. A ognuno viene chiesto di riportare con matite o pennarelli colorati su questa mini-sagoma dove percepisce sia sensazioni alimentari che emozioni: una volta compilata, la propria sagoma personale verrà incollata nell’ultima pagina della propria carta di identità alimentare.
– A tavola con le emozioni: a differenza del primo incontro, in cui con i bambini si riflette su “Cosa piace e non piace mangiare alle emozioni?”, giunti al terzo incontro si sono create le premesse per chiedere “Cosa mangi tu quando sperimenti una specifica emozione?”. Tale domanda viene posta consegnando a ciascun bambino un cartoncino formato A3 con un piatto in dimensioni reali e contrassegnato da una delle 5 emozioni di base, insieme a un sacchettino contenente decine e decine di piccoli stickers colorati con le immagini di diversi alimenti. I bambini, dunque, “apparecchiano”, mettendo nel piatto i cibi che mangerebbero se provassero quell’emozione. Questa attività permette di focalizzarsi sui vissuti emotivi e riflettere sui comportamenti alimentari a essi connessi, anche in termini di quantità e particolarità: succede infatti spesso che, presentando alla classe il proprio piatto, i bambini si accorgano non solo delle differenze nella scelta degli alimenti, in relazione a una specifica emozione, ma anche delle quantità a volte anche opposte rispetto ai propri compagni.
Come si possono aiutare i bambini a gestire l’uso del cibo come risposta emotiva, specialmente in situazioni di stress o ansia?
Come spesso si “insegna” all’interno di un percorso terapeutico, la chiave per gestire al meglio il rapporto con l’alimentazione risiede nella consapevolezza. Poter riflettere sulla propria emotività, imparare a conoscersi e ad ascoltarsi sia in situazioni di tranquillità che nei momenti di difficoltà, anche dal punto di vista delle abitudini e delle preferenze alimentari, ma soprattutto focalizzando la consapevolezza sul crucial ruolo dell’alimentazione nella regolazione emotiva rappresenta un vero e proprio scudo protettivo verso l’instaurarsi di un possibile DCA.
Quali risultati avete osservato nei bambini coinvolti nel progetto FoodNet in questi anni? Ci sono evidenze concrete che dimostrano l’efficacia della prevenzione primaria?
Al termine degli interventi nelle classi viene chiesto ad alunni, insegnanti e genitori di compilare un breve questionario, che ha lo scopo di indagare il gradimento e la soddisfazione generale rispetto agli interventi, la valutazione degli operatori nel condurli, il coinvolgimento percepito e, infine, l’efficacia del progetto nel trasmettere il nesso tra cibo ed emozioni.
A 7 anni dalla partenza del progetto – dopo aver portato interventi di prevenzione primaria ai DCA in 59 classi quarte e quinte, 25 scuole primarie in diverse regioni italiane, coinvolgendo più di 1300 alunni (con i loro insegnanti e familiari!), sono stati compilati un totale di 801 questionari: (596 da parte dei bambini; 51 da insegnanti; 154 da genitori). Le risposte ai questionari di valutazione compilati al termine degli incontri nelle classi sono più che incoraggianti – con l’83% degli alunni, il 91,66% dei genitori e il 96% degli insegnanti soddisfatti degli interventi di prevenzione dei DCA di FoodNet, e dell’efficacia nel trasmettere il diretto legame tra alimentazione ed emozioni.
Quali consigli darebbe ai genitori che vogliono creare un ambiente familiare sano e consapevole dal punto di vista emotivo e alimentare, per proteggere i figli dai disturbi alimentari?
Consiglio spesso, sia ai genitori al termine del percorso terapeutico di un/a loro figlio/a, sia a quelli che ci portano preoccupazioni per manifestazioni transitorie e non patologiche, di cercare di instaurare in famiglia un dialogo aperto sulle emozioni di tutti, aprendo la porta alla possibilità di esprimere come ci si sente, ponendosi come esempi nel parlare delle proprie paure, dei dubbi e delle fatiche che tutti noi sperimentiamo… e di come il cibo rappresenta per tutti un mezzo per maneggiare, risolvere e tentare di riequilibrare, i sentimenti che proviamo…
L’intervista con la Dott.ssa Colson ci ricorda quanto sia importante creare un ambiente familiare dove le emozioni possano essere espresse liberamente e dove il rapporto con il cibo sia sereno e consapevole. I risultati straordinari del progetto FoodNet – con oltre l’80% di gradimento tra bambini, genitori e insegnanti – dimostrano che la prevenzione dei disturbi alimentari è possibile, soprattutto se iniziamo presto a parlare di emozioni con i nostri figli.
E voi, mamme, come affrontate il tema delle emozioni e del cibo in famiglia? Condividete con noi le vostre esperienze nei commenti.