Ora, tu pisquanello di cinque anni, mi dici che hai fame, “Mamma ho fame” e ti do qualcosa da mangiare, “Mamma ho sete” e ti do qualcosa da bere, “Mamma mi annoio” e ti do carta e colori, “Mamma voglio il gelato” e ti do un eurino per comprati il gelato. Insomma mi rompi le balle con quattromila richieste, ma non mi chiedi “Mamma spegni quel computer e smettila con quel cavolo di libro, perché ora voglio che mi fai le coccole!”
Vedete, si inizia sempre troppo presto a imparare a distorcere la comunicazione, sei già affetto dal germe dell’“adultità” e, per contro, io avrei dovuto capirlo, se avessi letto meglio ciò che ti si leggeva in faccia: il tuo linguaggio extra verbale, ma ero distratta, stavo preparando la cena e la mia attenzione era distratta dal pollo arrosto e, non osservandoti, non ho letto la verità sul tuo volto, ma ho udito superficialmente le tue parole che dicevano altro da te.
Sono certa che ancora non hai imparato a controllare la tua mimica facciale a tal punto di poter mentire sulle tue emozioni, non sei allenato alla neutralità giapponese del volto, sei latino, e io avrei capito subito. Tu sei ancora tutto occhi e bocca, per fortuna. E dovrei ricordare che essi integrano, enfatizzano, danno un feedback a sostegno o meno di quanto stai dicendo…ma l’arrosto…sì, l’arrosto ammiccava a bruciarsi! Tu silenzioso, ma significativo, hai barato solo per metà, hai soffocato le intenzioni dietro alle parole, e i due linguaggi, verbale ed extra verbale, erano così incongruenti che avrei dovuto capirlo subito che volevi le coccole e non il pane.
Mi pare di vederti in quell’espressione mesta, quei sopraccigli arcuati centralmente e abbassati nella parte finale: quanta vulnerabilità. Volevi dirmi qualcosa ma non avendone il coraggio mi hai detto altro. Non sai ancora fingere completamente ma sei purtroppo sulla buona strada, e per contro, io ho attuato un’attenzione “da social”, minima, distratta e superficiale, dove in mancanza di feedback visivo, il fraintendimento è sempre dietro l’angolo.
I messaggi chiari e diretti sono sempre più rari e non sempre ciò ha a che fare con l’onestà di intenti, ma spesso è una questione di mancato coraggio, specialmente se il messaggio vorrebbe esprimere emozioni. Ma là dove mente la parola il corpo dice la verità. Infatti decodificare il tuo messaggio poteva sembrare semplice, ma è il “non detto” che avrei dovuto “ascoltare”; se solo ti avessi guardato, avrei colto la discordanza tra le parole e il linguaggio del corpo…ma l’arrosto, accidenti!
Cari figli, vorrei potermi sdoppiare per conoscervi meglio. Anzi, essere una e trina, senza per questo essere blasfema. Un’entità che vi segue solamente nelle vostre molteplici esigenze quotidiane, nella logistica affannata dell’organizzazione ed esecuzione che, spesso, non lascia scampo all’empatia; quella che vi prepara la colazione, vi lava, vi asciuga, vi fa fare i compiti, vi scarrozza e segue come un cavalier servente o vi richiama all’ordine quando è necessario. Poi vorrei essere un’altra, quella che vi osserva; che osserva con attenzione le vostre movenze così diverse, mentre quell’altra vi impartisce stupidi ordini.
Vorrei soffermarmi su quegli atteggiamenti così caratteristici ma anche così mutevoli, in ogni fase di crescita, vorrei cogliere la tristezza negli occhi, che deriva dal senso di inadeguatezza e di frustrazione, mentre l’altra vi spiega la moltiplicazione e voi non la capite (non è colpa vostra, del resto, ma di quell’altra che non la sa spiegare! E la frustrazione che diventa rabbia da domare); oppure vorrei compartecipare dell’eccitazione per un vostro successo scolastico che merita la giusta attenzione; essere presente e riconoscente quando mi portate quel bellissimo disegno, uno dei trecentosessantacinquemila che producete ogni giorno per trecentosessantacinque giorni all’anno, eppure non uno qualsiasi: quello!
Rigorosamente dedicato a me e che va ad alimentare le pile di carta da riciclare che mai getterò. Girerà, senza precisa dimora, da uno spazio all’altro della casa, perché quella tutta è la sua dimora, affinché io mi ci imbatta quotidianamente ovunque. Questo è lo scopo ultimo del dono: ricordami dell’amore di chi me lo ha donato.
Ma mentre lavo i piatti con fare nevrotico, vi ringrazio frettolosamente del sole splendente che campeggia sul foglio e non mi accorgo che invece è un’enorme navicella spaziale con voi dentro in orbita intorno a me stessa (come prontamente puntualizzate!). Ecco, vorrei concentrarmi su di ciò, sul contenuto racchiuso nel vostro bellissimo guscio che preme per uscire; sui vostri sguardi avidi di conoscenza, quando la scintilla del desiderio vi fa spalancare le pupille come foste drogati di sapere. E’ su questo che vorrei concentrarmi piuttosto che prodigarmi per verificare quello stesso sapere. Per poi essere lì, la terza entità che interagisce e gioisce, o che vi consola, con la concentrazione dovuta verso chi vorrei non meritasse altra distrazione all’infuori di se stessi.
Eppure, anche stasera vi ho messi a letto e stanca morta mi sono dimenticata di chiedervi se è stata una bella giornata; non vi ho chiesto ciò che vi è piaciuto e ciò che, invece, è andato storto, mentre giocavate con gli amichetti sulla spiaggia, senza minimizzare, ma dando a tutto ciò, la sua importanza. Vi ho tradito anche dimenticandomi di leggervi un altro capitolo delle avventure del coniglio Edward Tulane, che si sarà ormai suicidato per tanta dimenticanza e così bella che finita la storia! E mi sono dimenticata dello sciroppo per la tosse, ma ormai la notte è calata anche sul catarro insistente e io mi sento altamente imperfetta!
Vorrei fare di ogni vostro giorno normale, un giorno speciale, perché in ciò è il segreto della felicità. Vorrei insegnarvi a continuare a destreggiarvi negli elementi e nelle vostre dimensioni creative e fantastiche affinché restino tali. Sperimentare e provare gioia e dolore per imparare a volare oltre l’omologazione. Vorrei teneste a mente che tutto ciò non deve diventare qualcos’altro da ciò, perché ciò siete voi ed è a ciò che dovete essere fedeli e con cui dovrete fare i conti un giorno. Senza storpiature.
Ma perché voi mi crediate io devo esserne convinta per prima, devo esserne l’esempio ed ecco che mi accorgo che ciò lo imparo anche da voi.
Che vi conosco solo se vi osservo ogni giorno come se non vi conoscessi. Devo ricordarlo, perché questa è l’ancora per evitare di cedere a tutti i piccoli pregiudizi nei vostri confronti, o alle aspettative che inevitabilmente si potrebbero creare da un’osservazione dall’alto. Allora forse, questa che mi date, è una lezione di attenzione, dove i ruoli sono ribaltati e può succedere di tutto.
Come potete leggere facilmente su Wikipedia, “lo studio dell’attenzione visiva ne è un esempio. Se la tua attenzione è rivolta a un fiore in un campo, può semplicemente essere che il fiore sia visivamente più rilevante rispetto al resto del campo. L’informazione che ti ha portato a osservare il fiore ti è giunta in modo bottom-up. La tua attenzione non è stata condizionata dalla conoscenza del fiore; gli stimoli esterni erano già propriamente sufficienti. Confronta questa situazione con una in cui tu stai cercando un fiore. Hai una rappresentazione di cosa cerchi. Quando vedi l’oggetto che cerchi, questo è saliente. Questo è un esempio dell’uso dell’informazione in modo top-down”.
Come dire, cerchi il figlio perfetto e non lo vedi, perché condizionata dall’idea di perfetto, ma dovresti accorgerti del figlio perfetto che hai davanti, in quanto saliente!
Estratto dal libro “Quando la comunicazione va a ramengo” di S.Contardi