Gentile dottoressa,
giorni fa le avevo scritto in merito al se fosse necessario ed utile pesare i bambini dopo i tre mesi.
Quando le scrissi ero all’apice dell’esaurimento – come mi dicono mio marito e mia madre – poiché da quando allatto ogni settimana mi pongo sempre gli stessi problemi: avrà mangiato bene, ho latte a sufficienza, non è cresciuto molto avrà qualcosa e tutto questo lo riversavo in termini di nervosismo sul bambino e sui miei.
Inutile parlarne al pediatra di Federico, perché tutte queste "fisse" mentali non vuole nemmeno sentirle da lontano. Perciò le scrissi proprio quando il mio bambino sembrava, a tre mesi, addirittura mettere meno del normale in peso.
Lei mi disse di avere fiducia in me e nel bambino e nella sua capacità di autoregolarsi.
Beh da allora evito di vedere quanto prende pesandolo prima e dopo la poppata, così non sapendo se ha preso 90 gr o di più o di meno non vivo la giornata con stress e non riverso le mie ansie su di lui, ma soprattutto non mi creo più il problema se ad una o più poppate lui decide di succhiare 6 o 5 minuti.
Mi dico che è quella la quantità di lattea di cui lui – in quel momento – ha bisogno.
Ma tutto questo grazie a lei, non solo per i consigli ma soprattutto per quell’aspetto di incoraggiamento alla fiducia in se stessi che lei infonde quando scrive a noi mamme ed è di questo che spesso abbiamo bisogno, il sentirci incoraggiate
Credo che sia questo quello che molte di noi cercano quando le scrivono, forse perché i nostri pediatri spesso non sono propensi ad ascoltarci arrabbiandosi per cose per loro molto ovvie ma non per noi.
Quindi mi unisco a quella mamma che la ringraziava per la pazienza e la disponibilità verso noi tutte.
Grazie di cuore
Cinzia
La fiducia che una mamma deve avere in sé stessa e nelle sue capacità di valutare ragionevolmente le situazioni non è disgiunta dalla fiducia che essa deve avere nelle capacità vitali del proprio bambino, che si traducono in capacità di autoregolarsi e soprattutto anche capacità di comunicare correttamente un bisogno o un disagio.
Le mamme sviluppano naturalmente e istintivamente la capacità di intuire i bisogni dei loro bambini e soprattutto di decodificare i loro messaggi e sarebbe tutto molto più semplice se non fossero distratte in questo tipo di osservazione – comunicazione da troppi input provenienti dall’esterno, fatti di consigli magari non richiesti, regole, tabelle di accrescimento, schematismi eccessivamente rigorosi, tendenza all’omologazione, protocolli e soprattutto tanta tanta fretta, o meglio, frettolosità nei rapporti interumani.
Tutto questo "frastuono mediatico" mette in second’ordine la comunicazione empatica profonda che ogni mamma sviluppa con il proprio bambino fin dai primi tempi dopo il concepimento: un linguaggio plasmato a posta per loro due che le persone estranee alla coppia possono capire solo molto marginalmente.
Uno dei compiti di un pediatra è proprio quello di salvaguardare l’instaurarsi e il radicarsi di questa forma di comunicazione, senza mai disgiungere i bisogni dell’uno da quelli dell’altra, perché, come ho avuto spesso modo di ripetere, dal momento della nascita, il bambino non deve essere considerato ormai separato dalla madre ma bensì bisogna pensare che entri in una seconda fase della gestazione, una esogestazione, che terminerà soltanto quando il bimbo sarà capace di esprimersi autonomamente con il linguaggio, diciamo, adulto, quando sarà in grado di camminare da solo, quando avrà gli strumenti comunicativi per cavarsela da solo senza bisogno di essere contenuto nell’utero virtuale delle braccia materne.
Fino a quel momento, mamma e bambino devono continuare a crescere assieme e devono continuare ad essere considerati un tutt’uno, perché è la natura che ha deciso così, non la scienza.
E questa natura ha bisogno di essere lasciata in pace, non di essere stravolta da imposizioni esterne, perché la natura vive grazie ad un complesso e meraviglioso equilibrio intrinseco che le permette di perpetuarsi forte e vigorosa, mentre se la si stravolge eccessivamente la si condanna alla fragilità.
Lo è per i campi, i mari, le foreste, perché non dovrebbe esserlo anche per l’uomo? I cuccioli di uomo, prima ancora che di cure sapienti e di scienza, hanno bisogno di amorevole rispetto: senza questo atteggiamento del cuore e della mente, la medicina non darà mai buoni frutti.
Un caro saluto, Daniela