Un bambino grande

breast-feeding.jpgDa venerdì scorso il Nano è ammalato.
Ha la febbre ed il raffreddore, e la sua richiesta di attenzioni è decuplicata. Mi chiede il seno continuamente, mi si attacca per decine di minuti, e lo fa con violenza. Mi morde fino a farmi sanguinare, mi graffia il seno, e se lo stacco pretende di restare attaccato. Mi spinge via con le mani, piange, vuol solo il capezzolo, il resto di me tenta di allontanarlo anche solo se tento di dargli un bacio.

Quando mi ritrovo nel letto con lui che mi sbrana viva a piangere lacrime di dolore fisico e morale, capisco che qualcosa non va.
Qualcosa non va in me, non in lui.
Perché questa furia in lui, che non è mai stato violento, che si è sempre accostato a me con dolcezza? Perché questa continua richiesta di attenzione?

Capisco che è arrivato un momento particolare, della nostra vita di mamma e bambino.
Capisco che quel gesto tanto bello, per il quale sono stata a volte incoraggiata, ma il più delle volte derisa per la mia scelta di portarlo avanti così a lungo, è arrivato alla fine.
È finito il mio allattamento.
Non ho più latte. Il Nano si attacca con la forza della disperazione ad un gesto che ormai non ha più nulla di vitale in sé. Se ne rende conto. Per questo mi morde e mi graffia.

Mentre ero lì che piangevo mi sono resa conto di essere in procinto di staccare un cordone ombelicale forte, fatto di complicità, che mi ha portata tante volte a provare frustrazione, ma anche gioia di fronte a quel neonato che cresceva forte e robusto, con una voce da spaccare i timpani, deciso nella sua volontà di vita.

"E allora, che sia", mi sono detta. Facciamolo.
Ho messo due cerotti sui capezzoli malconci, mi sono spalmata di fitostimoline ed ho preso in braccio il mio Nano. Gli ho spiegato che la "pippina" è malata, che il latte non c’è più e che la mamma ha tanto male.

Mi ero immaginata questa cosa completamente diversa da come poi in effetti è andata. Nei miei progetti non era previsto. Avrei voluto che lui spontaneamente decidesse di smettere, che voltasse la testa da un’altra parte dicendo "Basta, mamma".
Non avrei mai voluto che mio figlio dovesse subire la violenza di un rifiuto. È una cosa terribile, di cui mi sentirò in colpa per sempre.

Lui ha capito. Ha capito subito.
Ha provato un paio di volte a chiedermela, e io gli ho mostrato i capezzoli feriti.
Ha constatato che avevo la bibi, ed ha desistito.
Solo la notte, la prima notte, ha dormito con me abbarbicato come non aveva mai fatto, svegliandosi ogni tanto e piangendo. E mentre piangeva diceva: "Filito, filito, filito tutto!".

A me quel "finito tutto" mi ha ammazzata.
E chi si congratula con me per aver tolto finalmente un vizio al mio bimbo, mi verrebbe voglia di spiaccicargli la testa con un sasso, perché non capisce, non si rende conto della grande forza di un gesto di natura che a volte mi ha irritato, mi ha infastidito, che molto spesso avrei voluto evitare, che ha creato tanti grattacapi, ma che gli ha garantito la vita per due anni, quattro mesi, tre settimane e cinque giorni, e che lui ha amato tanto.

Adesso ho un bimbo nuovo, col quale devo reimparare a convivere.
Devo imparare ad addormentarlo, a consolarlo, a stargli vicino. Prima ci bastavamo a vicenda, ora le cose sono diverse.
È incredibile come cambiano le cose. Apparentemente siamo gli stessi, ma in realtà non è così.
Ed il bello è che lo sappiamo solo noi, è il nostro segreto.

Lui devo dire che ha reagito eroicamente. Ogni tanto viene da me, mi accarezza e mi bacia, mi chiede: "Come ttai, mamma?".

Come sto, piccolo mio? Non lo so. Mi fa paura pensarci.
So solo che qualcosa di grande si ferma qui. È come un sentiero nella foresta che a un certo punto finisce, e non prosegue più. Adesso da quel sentiero deve nascere una strada, una strada bella grande che porti a qualche bel posto da qualche parte, su cui si possa imparare a vicenda il mestiere di mamma e quello di figlio.

Grazie, piccolo, per avermi insegnato l’amore.

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