Di Enuresi Notturna (in linguaggio meno scientifico “pipì a letto”) ne soffre oggi in Italia due milioni di persone, di cui un milione e duecento mila sono bambini e adolescenti tra i 5 e i 14 anni di età, mentre gli altri 700mila sono adulti, purtroppo dimenticati da tutti.
L’ENURESI: EPIDEMIOLOGIA E INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO
L’enuresi, alla lettera “urinare dentro”, è un’emissione involontaria di urina. La forma notturna è quella più frequente ed è caratterizzata dall’incapacità del bambino di trattenersi durante il sonno. Sono subito necessarie due precisazioni: non si tratta di una malattia, ma di un disturbo, che si può e si deve affrontare e risolvere in maniera tempestiva; in secondo luogo si può parlare di enuresi a partire dai 5 anni d’età, quando la funzione dell’apparato urinario ha raggiunto la piena maturazione.
La prevalenza stimata, ossia il numero di bambini che ne soffrono, è più elevata di quanto si possa immaginare: riguarda infatti 10-20 bambini su cento all’età di 5 anni, 5-10 su cento all’età di 10 anni e 3 ragazzi su cento nella fascia tra i 15-20 anni. Dopo le allergie l’enuresi è considerata la condizione cronica più comune nell’infanzia.
A differenza di un preconcetto alquanto diffuso, l’enuresi non scompare con l’adolescenza, ma è ancora presente nello 0,5-1% degli individui adulti. Un altro dato, che deve indurre a riflettere, è che solo un terzo dei piccoli pazienti viene sottoposto a trattamento e che quasi un genitore su due sottovaluta il problema, ritenendolo destinato a risolversi spontaneamente oppure dovuto a cause o dinamiche psicologiche.
LE FORME IN CUI SI MANIFESTA
L’enuresi notturna può essere:
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monosintomatica, definita come “enuresi continua in assenza di altra storia di sintomi delle basse vie urinarie e senza una storia di disfunzione vescicale”
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non monosintomatica, se è legata a una vescica iperattiva, con aumento della frequenza del bisogno di fare pipì, incontinenza, urgenza impellente, difficoltà a emettere o trattenere l’urina.
Un’altra definizione importante è quella di poliuria (cioè aumento del volume delle urine) notturna, definita come una diuresi che eccede più del 130% del volume vescicale atteso per l’età, ed è legata alla carente increzione notturna dell’ormone vasopressina, a cui consegue la perdita della capacità di concentrare le urine.
Questa nuova classificazione internazionale consente di superare i limiti della vecchia distinzione tra enuresi primaria (controllo minzionale notturno mai raggiunto per almeno 6 mesi) ed enuresi secondaria (sintomo comparso dopo almeno 6 mesi asciutti).
Tra le numerose cause di enuresi vanno ricordate la predisposizione familiare, una ridotta produzione dell’ormone antidiuretico di notte e la difficoltà di controllo della contrazione della vescica, che si svuota in modo automatico. Erroneamente, però, l’82% dei genitori ritiene che il sonno profondo o la pigrizia siano le maggiori cause dell’enuresi nei propri bambini.
Un inquadramento corretto del singolo bambino è il presupposto fondamentale per poter mettere in atto le strategie più consone e raggiungere l’obiettivo terapeutico, ossia la scomparsa permanente del disturbo.
La diagnosi dell’enuresi si basa anzitutto sulla visita medica. L’esame delle urine con l’urinocoltura può essere utile a escludere un’eventuale infezione, mentre altri accertamenti sono riservati a casi specifici (l’ecografia, per esempio, non è indicata in fase iniziale, a meno della presenza di disturbi minzionali.
LE RIPERCUSSIONI PSICOLOGICHE DELL’ENURESI
L’enuresi riduce il grado di autostima del bambino in maniera molto più incisiva di altre malattie croniche invalidanti come diabete, dermatite atopica, alopecia, nonché l’immagine corporea, limitando pesantemente la crescita identitaria e le autonomie: la presenza del disturbo preclude infatti numerose esperienze sociali di fondamentale importanza nella fascia d’età 6-14 anni. Se l’enuresi compare dopo la nascita di un fratellino o in correlazione a conflittualità nella coppia genitoriale, i sensi di colpa per l’evento notturno si amplificano ulteriormente e il bambino/a si colpevolizza per non essere in grado di governare la propria vescica. Ne consegue che i problemi psicologici riscontrati (calo di autostima, senso di inadeguatezza che induce il bambino a rinunciare a opportunità di socializzazione, come vacanze e gite scolastiche che comportano l’impegno di dormire fuori casa) sono spesso conseguenza dell’impatto del problema sulla vita del paziente, e non sono la causa dell’enuresi, come si era erroneamente ritenuto per lungo tempo. Non va infine dimenticato che i disturbi legati all’iperattività vescicale notturna e al sonno frammentato che ne deriva, nel vano tentativo di svegliarsi, comportano nei bambini/e che soffrono di enuresi un minor rendimento scolastico legato alla difficoltà d’attenzione conseguente alla frammentazione del sonno. L’intervento terapeutico, invece, favorisce un rapido e duraturo miglioramento della loro immagine corporea e del loro grado di autostima che, una volta risolto il problema, rientra nell’ambito della norma.
L’IMPORTANZA DI AFFRONTARE IL DISTURBO PER TEMPO
Per questa ragione l’enuresi deve essere innanzitutto affrontata – possibilmente già a 4-5 anni (non a 8 anni, come avviene tuttora il più delle volte) e in ogni caso al momento dell’ingresso alla scuola elementare – prima che porti i genitori a uno stato di frustrazione e il bambino in una condizione di calo di autostima. Considerando il disagio sociale e psicologico che l’enuresi può quindi avere sulla famiglia e soprattutto sul bambino, in un’età in cui l’immagine di sé è estremamente importante per lo sviluppo ottimale della personalità, il pediatra può cogliere l’occasione del bilancio di salute programmato intorno al sesto anno d’età per indagare la presenza di enuresi. L’approccio dovrà poi essere necessariamente personalizzato e potrà avvalersi di diverse strategie, come per esempio la terapia farmacologica, al fine di poter ripristinare l’alterata produzione di urina.
Un dato curioso, infine, è che l’enuresi, malgrado il comprovato interesse che desta nei genitori, è un tema di cui nessuno ama parlare, ed è questa forse la ragione principale per cui non si ravvisa la presenza di community nel web, mentre sono molto seguiti i siti che affrontano l’argomento.
COME AFFRONTARE L’ENURESI
L’approccio all’enuresi può essere esemplificato in tre fasi:
1) togliere innanzitutto al bambino ogni senso di colpa;
2) spiegargli che si tratta di una condizione frequente (ne soffre 1 bambino su 10 e ogni notte tre milioni e mezzo di bambini bagnano il letto);
3) esprimergli comprensione nei confronti del suo disagio, parlando del problema con il pediatra.
La valutazione del bambino con enuresi notturna nell’ambulatorio del pediatra prevede la raccolta di un’anamnesi completa e l’esame obiettivo. Una rapida serie di domande di screening potrebbe concorrere a inquadrare con precisione la maggior parte dei bambini affetti, caratterizzandone la tipologia e orientando il successivo trattamento (per esempio: Quante notti la settimana o quante volte al mese il bambino bagna il letto? Qual è il volume percepito della perdita notturna? Quali sono le abitudini del bambino quando va a letto e quanti liquidi assume durante il giorno e la sera? Il bambino è stato asciutto per 6 mesi o più? il bambino mette in atto comportamenti per trattenere l’urina, come (per esempio corre a fare la pipì all’ultimo momento, si accovaccia o saltella? Soffre di stitichezza?).
L’enuresi monosintomatica e in generale i casi non complicati devono essere trattati sul territorio, ossia dal pediatra di famiglia, senza banalizzarla ma, al tempo stesso, evitando di drammatizzarla e considerarla un problema cronico e privo di soluzione. In altri termini soltanto i casi complessi dovrebbero giungere all’attenzione dello specialista (urologo pediatra).
Nel contesto di un approccio integrato la scuola potrebbe essere un alleato privilegiato, spiegando ai bambini, con le dovute modalità e i necessari accorgimenti, la fisiologia vescicale e rendendosi promotrice di buoni modelli comportamentali. Tra questi l’abitudine di bere regolarmente, senza porre limiti all’accesso ai servizi igienici, che dovrebbero peraltro essere confortevoli e degni di tale definizione e ruolo.
ENURESI: DALLA DIAGNOSI (PRECOCE) AL TRATTAMENTO
La diagnosi precoce rimane la strategia fondamentale per tre importanti ragioni. La prima, ovvia sul piano teorico ma smentita dalla realtà pratica, è che il pronto riconoscimento del disturbo consente un intervento altrettanto tempestivo, prima che possano subentrare le note conseguenze sul piano psico-comportamentale; in secondo luogo la diagnosi è quanto mai agevole e possibile sulla base di poche domande da sottoporre ai genitori. La terza ragione, infine, è dovuta al fatto che, essendo oggi ben note le dinamiche fisiopatologiche dell’enuresi, riassumibili nella triade poliuria notturna da carenza di ormone antidiuretico (ADH), iperattività detrusoriale e difficoltà nel risveglio, sono possibili terapie sicure e validate a livello internazionale, che assicurano elevati tassi di guarigione e non giustificano più atteggiamenti di attesa passiva né tantomeno di scettica rassegnazione. Spetta al pediatra valutare il singolo caso e delineare un piano di trattamento personalizzato, instaurando un rapporto empatico, di fiducia e collaborazione con il bambino e i suoi genitori.
Tra i cardini dell’approccio clinico, oltre ad alcuni suggerimenti comportamentali, è centrale il ruolo della desmopressina, analogo sintetico della vasopressina, impiegata da oltre 30 anni per l’enuresi notturna primaria e disponibile anche in formulazione orodispersibile, che non richiede l’assunzione di acqua e si dissolve rapidamente.
Un ulteriore aspetto da evidenziare è che spesso i bambini enuretici sono affetti da stipsi, che costituisce un fattore prognostico negativo e va affrontata in primo luogo con l’educazione alimentare.