Allarme disturbi alimentari nei bambini: cause, segnali d’allarme e come affrontarli in famiglia

Negli ultimi anni è emerso un preoccupante aumento dei disturbi alimentari tra bambini e giovanissimi, con un esordio sempre più precoce. Secondo dati riportati da TGCOM24 e da recenti indagini, in Italia si stima che circa 3 milioni di giovani soffrano di un disturbo del comportamento alimentare e l’età di insorgenza si è notevolmente abbassata​

Allarme disturbi alimentari nei bambini: cause, segnali d’allarme e come affrontarli in famiglia
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Anoressia e bulimia, un tempo tipiche dell’adolescenza, oggi colpiscono anche bambini di appena 8-9 anni​

​Questo “grido d’allarme” è confermato da specialisti e istituzioni: negli ultimi tre anni i casi di DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) sono più che raddoppiati tra i giovani, e anoressia e bulimia rappresentano ormai la seconda causa di morte tra gli under 25, subito dopo gli incidenti stradali​

Di fronte a questi numeri è normale che genitori e caregiver si sentano spaventati e disorientati. In questo articolo esploreremo le cause e i fattori di rischio di questi disturbi nei bambini, i campanelli d’allarme da riconoscere, il peso emotivo che grava sulle famiglie e le strategie pratiche per aiutare un figlio che ne soffre. Infine, offriremo indicazioni su risorse e professionisti a cui rivolgersi e condivideremo alcune esperienze che umanizzano il problema, per ricordare a mamme e papà che non sono soli in questa difficile prova.

Cause e fattori di rischio dei disturbi alimentari nei bambini

I disturbi alimentari hanno origini complesse e multifattoriali. Non esiste una causa unica che spieghi perché un bambino sviluppi anoressia, bulimia o altri DCA; piuttosto, si tratta di un mix di componenti biologiche, psicologiche, familiari e socio-culturali

Ecco alcuni dei principali fattori che possono contribuire all’insorgenza di questi disturbi in età infantile e pre-adolescenziale:

  • Fattori biologici e di sviluppo: cambiamenti fisici precoci possono influire sull’immagine corporea. Ad esempio, l’abbassamento dell’età puberale nelle bambine, che oggi sviluppano prima forme e caratteristiche adulte, può scatenare insicurezze e disagi rispetto al proprio corpo​. Una bimba di 8-10 anni che vede il proprio corpo cambiare potrebbe spaventarsi o sentirsi “sbagliata” rispetto ai coetanei, innescando comportamenti alimentari anomali pur di controllare il proprio aspetto.
  • Predisposizione individuale e psicologica: alcuni bambini possono avere tratti di personalità o vulnerabilità emotive che li rendono più a rischio. Tendenza al perfezionismo, bassa autostima, ansia o difficoltà a gestire le emozioni possono sfociare in un controllo ossessivo dell’alimentazione. Spesso, il disturbo alimentare è la manifestazione esterna di un disagio interiore più profondo​. Inoltre, una storia familiare di disturbi alimentari o di altre patologie mentali può aumentare la suscettibilità.
  • Ambiente familiare: il ruolo della famiglia è ambivalente. Da un lato, nessun genitore è “colpevole” diretto del DCA del figlio; dall’altro, dinamiche familiari particolarmente conflittuali, iperprotettive o centrate in modo eccessivo su dieta e peso possono costituire un terreno fertile. Ad esempio, bambini che crescono in famiglie dove c’è grande attenzione al controllo del cibo o all’aspetto fisico potrebbero interiorizzare l’idea che il valore personale dipenda dalla magrezza. Allo stesso modo, un clima familiare rigido o poco emotivamente aperto può far sì che il bambino usi il cibo come mezzo (di controllo, di ribellione o di comunicazione del proprio disagio).
  • Pressioni sociali e modelli culturali: anche in tenera età, i bambini sono esposti a messaggi sociali sulla magrezza e la perfezione fisica. Viviamo in una società in cui i social media e la TV mostrano corpi ideali irrealistici: già tra i 9 e i 14 anni, molti ragazzi iniziano a confrontarsi costantemente con le immagini “perfette” online. Questo confronto può indurre insoddisfazione corporea e il desiderio di cambiare il proprio aspetto a tutti i costi. Quasi la metà dei giovani ammette di aver modificato le proprie abitudini alimentari ispirandosi a corpi visti sui social, spesso adottando diete restrittive dannose​. Se questo accade agli adolescenti, possiamo immaginare l’effetto sui più piccoli, che sono ancora meno attrezzati per comprendere che quei modelli spesso non sono reali. Il bullismo è un altro fattore scatenante frequente: essere presi in giro per il peso o l’aspetto può innescare un circolo di vergogna e controllo del cibo. La storia di Giulia, ad esempio, lo dimostra: da bambina veniva derisa dai compagni per quei pochi chili di troppo tipici della crescita; quelle prese in giro hanno segnato l’inizio di anni di lotta con il cibo e il corpo, tra anoressia e bulimia​.
  • Eventi stressanti e contesto recente: infine, non vanno dimenticati i fattori scatenanti situazionali. Cambiamenti importanti (come l’ingresso in una nuova scuola, problemi scolastici, difficoltà nelle amicizie o tensioni familiari) possono far sentire un bambino fuori controllo, e restringere l’alimentazione o abbuffarsi diventa, nella sua percezione, un modo per riprendere il controllo o per gestire l’ansia. Negli ultimi anni, la pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto indiretto: isolamento, incertezza e alterazione delle routine alimentari hanno contribuito all’aumento di nuovi casi di DCA (+64% di diagnosi pediatriche rispetto al 2019)​. Insomma, cause e rischi sono molteplici: come sottolineano gli esperti, l’anoressia e gli altri disturbi alimentari sono il risultato di più elementi combinati​. Sapere questo aiuta i genitori a capire che non c’è un singolo “errore” da imputarsi, ma piuttosto una serie di circostanze su cui si può agire in termini di prevenzione e attenzione.

Campanelli d’allarme: i segnali da riconoscere

Riconoscere presto i segnali d’allarme di un disturbo alimentare nel proprio figlio può fare un’enorme differenza. Gli specialisti sottolineano che intervenire tempestivamente aumenta le probabilità di completa guarigione​

Ma quali sono i sintomi iniziali a cui mamme e papà dovrebbero fare attenzione? Spesso i campanelli d’allarme sono subdoli e facilmente confondibili con normali “capricci” o fasi passegge­re. Ecco alcuni segnali tipici da non sottovalutare:

  • Cambiamenti nel modo di mangiare: può essere il primo indicatore. Prestate attenzione se vostro figlio modifica improvvisamente le sue abitudini a tavola. Per esempio, nei disturbi alimentari restrittivi (come l’anoressia) il bambino potrebbe iniziare a spezzettare il cibo in piccolissimi pezzi, mangiando lentissimamente e giocando col cibo più che consumarlo davvero​. Potrebbe eliminare gradualmente alcuni alimenti (“non voglio più pasta”, “non mi piacciono più i dolci”…) sostenendo scuse poco convincenti, fino a seguire regole alimentari rigide. A volte i ragazzi con questo problema adorano cucinare per gli altri, ma poi non toccano le pietanze da loro preparate​. Se notate rituali strani nel mangiare o cibi intatti nel piatto mentre vostro figlio dice di aver già mangiato, non liquidateli come manie senza importanza. Sono atteggiamenti comuni in chi sviluppa un DCA.
  • Visite frequenti in bagno dopo i pasti: se vostro figlio scappa in bagno subito dopo aver mangiato, con una certa regolarità, potrebbe essere un segnale preoccupante. Nei casi di bulimia nervosa è tipico indurre il vomito dopo le abbuffate o anche dopo pasti normali, per liberarsi di quanto ingerito. Un uso insolitamente frequente del bagno, soprattutto subito dopo pranzo o cena, “quando diventa sistematico, vuol dire che c’è qualcosa che non va”​. Naturalmente, ogni episodio va contestualizzato, potrebbe avere semplicemente mal di pancia, ma la ripetitività di questo comportamento deve far drizzare le antenne.
  • Ansia e malessere legati al cibo: notate se il momento dei pasti genera tensione palpabile in vostro figlio. Un bambino che sviluppa un disturbo alimentare spesso mostra ansia crescente all’avvicinarsi dell’ora di pranzo o cena​. Può lamentare mal di stomaco, inappetenza o trovare scuse per non sedersi a tavola (“Ho già mangiato da un amico”, “Non ho fame, sto male”). Altri segnali collegati: alcuni ragazzi mangiano di nascosto, magari di notte, ingurgitando grandi quantità di cibo in solitudine (questo può accadere nel binge eating disorder, il disturbo da alimentazione incontrollata)​. Oppure al contrario, saltano pasti interi senza un motivo plausibile. Queste oscillazioni e bugie legate al cibo sono indicatori di un rapporto non sereno con l’alimentazione.
  • Isolamento sociale e cambiamenti d’umore: un disturbo alimentare spesso si accompagna a un ritiro dalle attività sociali, in particolare da quelle che prevedono cibo (feste di compleanno, merende con gli amici, pranzi di famiglia). Il bambino trova scuse per non partecipare (“Non mi va”, “Devo fare i compiti”) oppure se è presente appare distante, svogliato. L’isolamento diventa via via più marcato​. In generale potreste notare anche cambiamenti di personalità: un figlio aperto e sereno che diventa improvvisamente più triste, irritabile, ossessionato dalla scuola o da un’attività fisica eccessiva. Spesso chi soffre di un DCA tende a chiudersi in se stesso e a nascondere ciò che fa (ad esempio butta il pranzo di nascosto, fa esercizi fisici di nascosto in camera). Ansia, depressione o atteggiamenti segreti dovrebbero spingere i genitori a indagare più a fondo​.
  • Preoccupazioni riguardo al peso e all’aspetto: sebbene nei bambini più piccoli il calo ponderale evidente non sia sempre il primo segnale (possono iniziare a sviluppare il disturbo pur mantenendo un peso ancora normale), è importante cogliere eventuali discorsi ricorrenti su dieta, peso e forma fisica. Un bambino che dice spesso di sentirsi grasso o di voler dimagrire merita ascolto immediato. Gli esperti suggeriscono quattro domande chiave che il pediatra, ma anche i genitori a casa, possono porre per capire se si sta sviluppando un problema: “Pensi di dover fare una dieta?”, “Quante diete hai già fatto quest’anno?”, “Sei insoddisfatto del tuo peso?”, “Il peso influenza l’idea che hai di te stesso?”​. Se la risposta a qualcuna di queste domande è sì, significa che il rapporto con il cibo e con il corpo si sta alterando. A livello comportamentale, oltre ai segnali già citati, fate caso se vostro figlio manifesta un’attività fisica eccessiva o compulsiva (allenamenti esagerati per “bruciare calorie”) o se compaiono sintomi fisici come stanchezza, vertigini, amenorrea (nelle ragazze più grandi). Spesso i campanelli d’allarme non sono tutti visibili e molte persone con disturbi alimentari non appaiono visibilmente malate. Perciò è fondamentale che il genitore colga anche i segnali più sottili e si fidi del proprio istinto: meglio approfondire un dubbio in più che ignorare un potenziale problema.

In sintesi, “dietro ogni numero c’è un volto, un nome, una storia di sofferenza silenziosa”

Dietro comportamenti come quelli descritti potrebbe esserci il dolore di un figlio che non sa esprimere altrimenti il proprio disagio. Se riconoscete alcuni di questi segnali in vostro figlio, non cedete alla tentazione di minimizzare (“sono fissazioni”, “è solo una fase”). Come sottolinea una mamma che ha vissuto in prima persona l’anoressia della figlia, spesso i genitori, per inesperienza, tendono a dare poco peso ai sintomi iniziali, scambiandoli per normali richieste adolescenziali (ad esempio la dieta dell’estate)​

Invece quei segnali erano campanelli d’allarme di una sofferenza profondissima. È importante non colpevolizzarsi per non aver capito subito (nessun genitore è preparato in anticipo a questo), ma appena si intuisce che “c’è qualcosa che non va”, è fondamentale agire senza perdere tempo​

Il peso psicologico ed emotivo per i genitori (e come affrontarlo)

Un aspetto spesso sottovalutato dei disturbi alimentari nei minori è l’impatto emotivo devastante che hanno sui genitori e sui caregiver. Quando un figlio si ammala di anoressia, bulimia o binge eating, tutta la famiglia ne viene coinvolta: le normali dinamiche quotidiane ruotano attorno al problema del cibo, creando tensioni e preoccupazioni costanti​

Mamme e papà possono sentirsi sopraffatti da emozioni intense e contrastanti: senso di colpa (“Dove ho sbagliato?”), impotenza e inadeguatezza di fronte al rifiuto del cibo o alle abbuffate nascoste, rabbia e frustrazione quando ogni tentativo di aiutare il figlio sembra vano​

Questi sentimenti sono del tutto naturali. Stare accanto a una persona che soffre di un DCA, infatti, “non è facile”: spesso chi sta male non riesce a vedere l’aiuto che gli viene offerto, è come se vivesse “in apnea” emotiva e rigettasse i tentativi altrui​. Questo può fare sentire i genitori inutili e soli.

È importante invece che i caregiver non restino soli a loro volta. Come recita un punto del decalogo di Animenta/Skuola.net, “anche la famiglia ha bisogno di essere aiutata”

Significa che i genitori devono riconoscere di avere diritto a supporto e sostegno psicologico, perché il loro benessere è fondamentale sia per sé stessi sia per poter aiutare il figlio. Ad esempio, può essere utile rivolgersi a uno psicologo o psicoterapeuta familiare esperto in DCA: questo permette ai genitori di elaborare le proprie emozioni, di capire meglio la malattia e di apprendere modalità comunicative efficaci. Molti centri per disturbi alimentari offrono gruppi di supporto per genitori o inseriscono la famiglia nel percorso terapeutico (approccio multidisciplinare familiare), proprio perché sanno quanto sia pesante per una madre o un padre affrontare tutto senza guida​

In terapia, i genitori possono imparare strategie per gestire le situazioni critiche (ad es. come comportarsi a tavola, come reagire ai rifiuti di cibo o alle provocazioni) tutelando al contempo la propria salute mentale​

Ricordatevi che prendersi cura di sé non è egoismo, ma una necessità. Un genitore sfinito, disperato e annientato dal senso di colpa difficilmente riuscirà a essere di aiuto al figlio nel lungo percorso di cura. Cercate quindi spazi di respiro: parlatene con qualcuno di fiducia (amici, parenti), leggete testimonianze di altre famiglie (per capire che non siete gli unici ad affrontare queste sfide), e non esitate a chiedere aiuto professionale per voi stessi. Come suggeriscono gli esperti, affrontare le difficoltà richiede un atteggiamento paziente, equilibrato e rispettoso delle necessità psicologiche dei figli, ma questo equilibrio i genitori possono trovarlo solo se hanno a loro volta un minimo di supporto e ristoro emotivo​

Infine, è normale provare paura per la salute del proprio figlio e sentirsi smarriti su quale sia la cosa giusta da fare. Molti genitori raccontano di aver navigato tra il timore di “spingere troppo” e quello di “non fare abbastanza”. Se vi riconoscete in queste sensazioni, sappiate che non esistono genitori perfetti e che state facendo del vostro meglio in una situazione oggettivamente difficile. Non vergognatevi mai di chiedere aiuto o di esprimere il vostro dolore: così come vostro figlio ha bisogno di rompere il silenzio, anche voi avete il diritto di farlo, con professionisti o in gruppi di auto-mutuo aiuto. Condividere il peso alleggerisce la mente e il cuore, e vi darà più forza per sostenere vostro figlio nella battaglia contro il DCA.

Strategie pratiche di supporto per i genitori

Di fronte a un figlio con disturbo alimentare, i genitori spesso si chiedono concretamente “cosa possiamo fare, o non fare, ogni giorno per aiutarlo?”. Ogni caso è a sé e sarà il team curante a dare le indicazioni specifiche, ma esistono alcune strategie pratiche generali che possono migliorare la comunicazione e creare un ambiente più favorevole alla guarigione. Ecco alcuni consigli utili, ispirati anche al decalogo di esperti diffuso in occasione della Giornata del Fiocchetto Lilla​:

  • Evitare commenti su corpo, cibo e peso: può sembrare banale, ma in una società dove continuamente si esalta o si critica l’aspetto fisico, è facile cadere in osservazioni sbagliate. Frasi come “Ti vedo meglio, hai perso qualche chilo!” oppure “Dovresti mangiare di più, sei troppo magro” possono fare danni enormi. Il decalogo consiglia di non focalizzarsi sull’aspetto esteriore o sull’alimentazione nelle conversazioni familiari, perché ciò aumenta la pressione sul ragazzo​. Meglio invece spostare l’attenzione su altri aspetti: le qualità personali, gli interessi, i traguardi scolastici o creativi. Far sentire nostro figlio visto per quello che è dentro, non per come appare fuori, aiuta a non rinforzare l’ossessione per il peso.
  • Non sminuire il problema: se un bambino smette di mangiare non lo fa “per capriccio”, e se mangia in modo compulsivo non è solo perché “è goloso”. Dietro al comportamento alimentare disturbato ci sono sofferenze profonde che spesso il bambino stesso fatica a spiegare. È fondamentale prendere sul serio quello che sta passando, senza minimizzare con frasi del tipo “Ma no, non è niente, mangia su!” oppure “Sono fissazioni, passerà”. Occorre comunicare a nostro figlio che lo crediamo e lo capiamo, anche quando non comprendiamo del tutto il perché del suo comportamento​. Allo stesso tempo, evitare toni accusatori o giudicanti: mostrare empatia non significa accettare il comportamento malsano, ma far capire al bambino che siamo alleati contro la malattia, non giudici delle sue azioni.
  • Coltivare la pazienza (darsi tempo e dare tempo): uscire da un disturbo alimentare è un percorso lungo, fatto di progressi e passi indietro. È normale che i genitori vorrebbero risolvere tutto rapidamente, ma purtroppo non esiste una soluzione lampo. Bisogna armarsi di pazienza infinita, restando vicini al figlio anche quando sembra rifiutare l’aiuto. Come dice il decalogo, “la vera sfida sta nel restare a disposizione tutto il tempo necessario”​. Questo significa non scoraggiarsi se la guarigione è lenta, e capire che il bambino potrebbe non essere subito pronto ad accettare il sostegno: potrebbe negarci il problema, arrabbiarsi, allontanarci. Dentro di lui però sa di aver bisogno, e quando sarà pronto quella presenza costante gli darà la sicurezza per affidarsi. Darsi tempo vuol dire anche perdonare a se stessi eventuali errori lungo il cammino: nessun genitore gestisce tutto alla perfezione, ma l’importante è continuare a esserci.
  • Stabilire un’alleanza terapeutica e familiare: i migliori risultati si ottengono quando famiglia e specialisti lavorano insieme. Partecipate attivamente alle terapie familiari se proposte, oppure cercate voi stessi momenti di confronto con il team curante (pediatra, psicologo, nutrizionista, psichiatra infantile). È utile mostrarsi uniti come famiglia, se ci sono fratelli, coinvolgere anche loro nel capire la situazione con delicatezza, per evitare gelosie o incomprensioni. Create a casa un ambiente il più sereno e solidale possibile: ad esempio, mantenere i pasti in famiglia (anche se il bambino inizialmente mangia poco o nulla, è importante che stia con voi a tavola senza sentirsi escluso o forzato in modo traumatico), magari concordando con i terapeuti piccoli obiettivi realistici. Ogni successo, anche minimo (come aver finito un boccone in più, o aver confidato una propria emozione anziché tacere) andrebbe riconosciuto e incoraggiato, per far sentire il bambino apprezzato nei suoi sforzi.
  • Evitare conflitti inutili attorno al cibo: il momento del pasto può diventare il campo di battaglia principale. Cercate di ridurre la conflittualità a tavola. Ad esempio, preparate porzioni adeguate e non eccessive per non sopraffarlo visivamente; concordate con i medici un piano pasto in modo da sapere su cosa insistere e su cosa chiudere un occhio; se nasce una discussione sul cibo, provate a spostare il focus (parlate di un argomento piacevole durante il pasto, mettete musica di sottofondo per alleviare la tensione). Ci vuole un equilibrio sottile tra il ruolo di genitore, che deve nutrire e mettere limiti, e la comprensione che forzare o punire può aggravare il problema​. In pratica: mantenete regole sane (ad es. niente cellulare a tavola, orari regolari) ma evitate di trasformare ogni cena in un interrogatorio su “quanto/cosa hai mangiato”. La sfida è far sì che il momento dei pasti resti il più normale e sereno possibile, pur nelle difficoltà.
  • Informarsi e sensibilizzare l’ambiente: uno degli strumenti più potenti in mano ai genitori è la conoscenza. Spesso i DCA sono circondati da falsi miti e stigma, che portano a sottovalutare i segnali d’allarme o, al contrario, ad adottare misure inefficaci. Educatevi sul disturbo specifico di vostro figlio: leggete materiale affidabile, chiedete chiarimenti ai medici, partecipate a incontri informativi se disponibili. Questo vi aiuterà sia a comprendere meglio cosa sta vivendo vostro figlio, sia a comunicare nel modo giusto con lui e con chi vi circonda. Ad esempio, spiegate ai parenti stretti e agli insegnanti la situazione, in modo che anche fuori casa il bambino non riceva commenti inopportuni o pressioni senza volerlo. Una corretta informazione porta a maggiore consapevolezza e comprensione, e riduce anche il senso di isolamento di chi ne soffre​. Sapere di non essere giudicato ma compreso può facilitare il percorso di cura di vostro figlio. Inoltre, diffondere conoscenza sui DCA (anche solo nel vostro piccolo cerchio) contribuisce a combattere pregiudizi e vergogna: più persone capiscono che si tratta di malattie complesse e non di “mode” o “stravaganze”, più chi ne soffre, e le loro famiglie, potranno sentirsi accolti dalla comunità.

Ogni genitore svilupperà il proprio modo di stare accanto al figlio in questa battaglia, ma i punti sopra possono essere un utile riferimento. In definitiva, la chiave è comunicare amore incondizionato e presenza costante, pur senza assecondare il disturbo. Far sentire al bambino: “ti voglio bene indipendentemente da quanto mangi o da come appari, e farò di tutto per aiutarti a stare bene”. Anche se magari non lo darà a vedere mentre è nel pieno del problema, questo messaggio di fondo arriverà e rimarrà con lui.

Risorse e aiuti concreti: a chi rivolgersi

Affrontare un disturbo alimentare non è qualcosa che si possa fare da soli in casa: è fondamentale attivare appena possibile l’aiuto di professionisti qualificati. Ecco alcune risorse e figure chiave a cui possono rivolgersi i genitori in cerca di supporto concreto:

  • Il pediatra o il medico di base: spesso è il primo interlocutore. Parlate apertamente col medico di famiglia dei segnali che avete osservato. Come racconta una mamma, fu proprio la sua dottoressa di base a capire subito la gravità e a dire con lucidità “Se c’è anoressia bisogna intervenire in fretta”​, indirizzandola verso gli specialisti giusti. Il pediatra può eseguire i primi controlli (peso, parametri vitali) per valutare i rischi fisici immediati e fornire un impegnativa o un consiglio sul centro specialistico a cui rivolgersi. Inoltre, può escludere altre cause mediche di eventuali cali ponderali. Non abbiate timore o vergogna di parlare col medico: i DCA sono patologie serie, riconosciute, e il pediatra è lì per aiutarvi, non per giudicare.
  • Centri specializzati per Disturbi Alimentari: in molte città esistono unità di neuropsichiatria infantile o servizi dedicati ai DCA pediatrici (ad esempio, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha un reparto specializzato che ha registrato un +64% di diagnosi in 6 anni​). Questi centri offrono un approccio multidisciplinare: qui vostro figlio potrà essere seguito da un’équipe composta tipicamente da psichiatri o neuropsichiatri infantili, psicologi/psicoterapeuti, dietisti/nutrizionisti e medici internisti. Insieme, valuteranno la situazione fisica e mentale del bambino e predisporranno un piano di cura personalizzato. In casi severi potrà essere necessario un ricovero ospedaliero per stabilizzare le condizioni mediche (come è accaduto alla figlia di V., ricoverata 15 giorni per riprendersi da un’aritmia cardiaca causata dall’anoressia​). Ma spesso si inizia con un percorso ambulatoriale, con terapia psicologica individuale e familiare, controlli nutrizionali periodici e monitoraggio medico. Chiedete al vostro pediatra o ASL di riferimento quali sono i centri DCA pubblici più vicini; in alternativa potete valutare strutture private specializzate, se le risorse lo consentono. L’importante è affidarsi a chi “sa davvero di cosa si tratta”​, cioè professionisti con esperienza in disturbi alimentari, poiché richiedono competenze specifiche.
  • Lo psicologo/psicoterapeuta: se nella vostra zona i tempi di attesa per un centro specializzato sono lunghi, può essere utile iniziare subito un percorso con uno psicoterapeuta dell’età evolutiva esperto in DCA, anche privatamente. Questo professionista potrà iniziare ad aiutare vostro figlio a esprimere ciò che prova e a lavorare sulle cause psicologiche del disturbo, oltre a guidare voi genitori su come comportarvi nel quotidiano. Spesso la terapia più efficace per adolescenti con DCA è la terapia familiare (ad esempio il Family-Based Treatment), che coinvolge attivamente i genitori nel processo di recupero. Valutate insieme agli specialisti quale approccio sia migliore per la vostra famiglia.
  • Associazioni e helpline: in Italia esistono numerose associazioni di volontariato e supporto dedicate ai disturbi alimentari, che offrono informazioni, consulenza e talvolta servizi di ascolto telefonico. Ad esempio, l’associazione Mi Nutro di Vita promuove la Giornata del Fiocchetto Lilla e sensibilizza sul tema; Animenta (ente no-profit nato per raccontare i DCA) fornisce testimonianze e materiali informativi utili; l’associazione ABA (Associazione per lo studio e la ricerca su Anoressia, Bulimia e obesità, fondata da Fabiola De Clercq) porta avanti progetti di prevenzione nelle scuole e gruppi di aiuto​. Un importante strumento a disposizione di tutti è il Numero Verde SOS Disturbi Alimentari 800.180.969, attivato dalla Presidenza del Consiglio: risponde a domande e indirizza alle strutture competenti​. Non esitate a contattare queste risorse: anche solo parlare con altre famiglie che ci sono passate o con volontari esperti può darvi sollievo e indicazioni pratiche immediate.
  • Scuola e altre figure di riferimento: considerateli alleati. Informate (con discrezione e rispetto della privacy di vostro figlio) gli insegnanti o lo psicologo scolastico della situazione, soprattutto se il bambino è in età scolare. La scuola può monitorare comportamenti a rischio (ad esempio se salta la merenda), favorire un ambiente comprensivo e arginare episodi di bullismo. Anche il pediatra di fiducia andrebbe tenuto aggiornato sugli sviluppi, così da poter continuare a svolgere la sua funzione di “sentinella” sanitaria nel lungo periodo.

In sintesi, “serve una gestione multidisciplinare”: i disturbi alimentari non si risolvono con la sola forza di volontà o in famiglia, ma richiedono l’intervento coordinato di vari specialisti. Metà delle regioni italiane purtroppo non dispone ancora di una rete di cura completa per i DCA, e spesso ci sono liste d’attesa lunghe​

Questo può scoraggiare, ma non arrendetevi: insistete nel cercare aiuto, fatevi accompagnare dalle associazioni, fate rumore se necessario (anche rivolgendovi al medico curante per sollecitare). Come ha detto Maria Cristina Pisani (presidente del Consiglio Nazionale Giovani), è doveroso costruire una rete pubblica di ascolto e aiuto solida, perché nessun giovane e nessuna famiglia deve essere lasciata sola a combattere nel silenzio

Fino a che questo auspicabile sistema sarà pienamente realtà, i genitori possono comunque fare squadra attivando tutte le risorse disponibili sul territorio.

Esperienze e testimonianze: non siete soli

Dietro le statistiche sull’allarme DCA ci sono storie reali di bambini, ragazzi e genitori che stanno affrontando, o hanno affrontato, questa battaglia. Conoscere alcune di queste esperienze può dare coraggio e speranza a chi oggi si sente disperato.

Abbiamo già accennato alla storia di Giulia, che da piccola subì prese in giro per il peso e da adolescente è caduta nel tunnel dell’anoressia e della bulimia. La sua “vittoria” è arrivata grazie allo sport e all’aiuto di chi conosceva bene i disturbi alimentari​

Oggi Giulia è un’adulta realizzata: è diventata un’imprenditrice e ha aperto un blog per condividere la sua esperienza e insegnare alle ragazze ad amarsi per come sono. Inoltre, si impegna nelle scuole per educare gli studenti sui DCA, collaborando con l’associazione ABA​.

La sua testimonianza mostra che guarire è possibile e che da una ferita così profonda può nascere una forza nuova, da usare per aiutare gli altri. “Misurarsi solo con se stesse” è il motto che Giulia diffonde: ogni ragazza (e ogni ragazzo) deve imparare che il proprio valore non dipende dal confronto con gli altri, men che meno con modelli irrealistici.

Ci sono poi le testimonianze dei genitori, forse meno raccontate ma altrettanto importanti. Una madre, ad esempio, ha condiviso la storia di sua figlia di 16 anni ricoverata per anoressia: “Non sappiamo ancora che cosa abbia innescato questo meccanismo… L’importante però non è ricercare ossessivamente le cause, ma agire”, dice​

Lei stessa ammette di essersi trovata impreparata di fronte ai sintomi iniziali, quegli attacchi alla bilancia mascherati da “voglia di star in forma” a cui all’inizio diede poco peso, ma sottolinea quanto sia vitale muoversi subito: “Quando una ragazzina non vuole mangiare, è triste e si isola, bisogna intervenire… parlare con il medico di base e ricorrere a centri specializzati. Il tempo ha un ruolo imprescindibile”

Questa mamma racconta anche la durezza ma la grande efficacia dell’intervento medico: la figlia è passata per un ricovero difficile, ma ne è uscita salva e ora sta proseguendo le cure con l’intera famiglia al suo fianco​.

Il suo messaggio per gli altri genitori è chiaro: non aspettate, non sperate che passi da sé, perché la posta in gioco è la vita di vostro figlio. Allo stesso tempo, non perdete la speranza: con l’aiuto giusto, si può uscire dal tunnel. Le percentuali di guarigione completa oggi sono incoraggianti, circa il 65% per l’anoressia e quasi la metà per la bulimia raggiungono la remissione in 5 anni​, e continuano a migliorare grazie a terapie sempre più mirate.

Un altro racconto, pubblicato su un quotidiano locale, è quello di un padre che inizialmente non capiva la malattia della figlia ballerina: “Per me aveva un fisico perfetto, non capivo perché mangiasse sempre meno…”, dice. Ma quando ha realizzato che sua figlia faceva sport di nascosto di notte e che la sua salute era in pericolo, ha cambiato atteggiamento. Ha imparato ad ascoltare, a informarsi sui DCA e a lottare insieme a lei per riprendersi​

Oggi quella ragazza sta meglio, e quel padre invita gli altri a non sottovalutare frasi come “mi vedo grassa” dette da una 15enne apparentemente “perfetta”: è lì che bisogna intervenire, con amore e senza giudizio.

Queste testimonianze, e tante altre che si possono trovare sui blog, nei libri e attraverso le associazioni, servono a ricordarvi che non siete soli. Ogni famiglia attraversa inizialmente momenti di sconforto, di senso di colpa, di paura di non farcela. Ma molte famiglie ce la fanno, e i loro figli possono tornare a sorridere, a mangiare con gusto, a vivere liberamente la loro età. Dietro ogni storia di successo, c’è stato un network di supporto: genitori che non si sono arresi, medici e terapeuti che hanno messo in campo competenza e umanità, amici e volontari che hanno offerto una spalla su cui piangere e parole di incoraggiamento.

Se state affrontando questa sfida, abbiate fiducia: con il giusto aiuto vostro figlio può guarire, e anche da questa dolorosa esperienza potrà un giorno trarre insegnamenti di resilienza. Nel frattempo, non vergognatevi di chiedere aiuto in ogni forma possibile e di parlare di ciò che state vivendo. L’omertà e la vergogna sono alleate del disturbo alimentare; la condivisione e la comprensione, invece, sono sue nemiche. Come recita lo slogan della Giornata del Fiocchetto Lilla, diamo “voce alla speranza” di chi lotta contro i DCA. Insieme, come genitori, professionisti e comunità, possiamo spezzare il silenzio e far sentire ai nostri bambini tutta la forza del nostro amore e del nostro sostegno.

Fonti:

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